Un’estate al mare, voglia di sognare. Il grande sogno è l’amore. Perché diventi realtà bisogna fuggire a gambe levate dal grigiore quotidiano per raggiungere un mondo incantato dove è sempre estate, il sole scotta, il mare rilassa. L’Italia di Sanremo è affamata di sentimenti e anche un po’ egocentrica. Infatti nelle canzoni si canta quasi sempre alla prima persona singolare «io, io, io» e al massimo ci si rivolge all’amato o all’amata. Vanno «giù giù giù nel mare » e «su su su nel Sole» Luca Barbarossa e Raquel del Rosario. Vorrebbe raggiungere il «mare immenso» Giusy Ferreri. Vecchioni vuole regalare il «mare ai bambini». L’«alieno» di Luca Madonia e Franco Battiato per ritrovare se stesso «coglie l’occasione di un’estate al mare», e corre in «spiaggia » a guardare «l’onda che arriva ». Davide van de Sfroos taglia corto e ambienta il brano Yanez direttamente ai «Bagni Riviera». Si sveglia grazie all’« estate rovente in cui Sole sarà » il cuore di Emma e dei Modà. Dopo «tempeste di vento», Nathalie cerca il «calore del giorno». Patty Pravo attende che «il cielo si apra». Tra i giovani, Anansi ha «il Sole dentro », Gabriella Ferrone vagheggia il suo «pezzo d’estate ». Anna Oxa cerca «un sogno più vero», Nathalie vive «sospesa tra sogno e quotidianità », alla Tatangelo piacerebbe «sognare» di più. Tra i giovani, Micaela non vuole farsi portare via un «sogno pieno di poesia », Raphael Gualazzi è dentro «un sogno fragile». Fa eccezione, Tricarico, in cui il sogno diventa incubo; per lui niente cielo azzurro, il Sole si trasforma in «nebbia» e il sogno diventa un incubo in cui si combatte per la patria. Posto che gli autori dei brani sono tutti più o meno innamorati, e più o meno dolci, e più o meno vicini al mare, e più o meno sognatori, si staccano dalla media il cinismo di Patty Pravo e il bigino «petrarchista » dei La Crus («Non credo nel peccato amore mio/ perché non credo in Dio»). L’Italia di Sanremo è una espressione del cuore, non geografica. Assente ogni riferimento a città, paesi, luoghi identificabili. Fanno eccezione, ancora una volta, Tricarico ( la nebbia di cui sopra è «padana », la mezzaluna è «cilentana ») e Van de Sfroos (ironica citazione di «Romagna mia»; e compare anche Varese). Del resto sono i due testi più originali, il primo omaggia con toni surreali la bandiera italiana: «Ricorda che la nostra tre colori ha/ Verde la speranza rosso il sangue di frontiera/ Neve biancaneve i cuori abbraccerà». Il secondo celebra senza retorica la provincia e i suoi eroi un po’ scalcagnati (traduco in italiano dal dialetto: «Sandokan viene in spiaggia con le mutande della Billabong/ ha l’artrite e ha il riporto,/ parte per Mompracem col pedalò»). E così, alla fine, le canzoni intercettano la nazione e il campanile, il Tricolore e lo stemma municipale. Senza fare politica. Non è il momento dell’«impegno », che pare sforzato e quasi autoimposto, almeno nell’Italia dell’Ariston. Al Bano presenta con le migliori intenzioni una canzone ispirata a un fatto di cronaca, l’omicidio di una giovane nigeriana. Brano azzoppato dalle rime (tra le altre: «Curva come una virgola di una frase a metà/ occhi che sognano giorni di libertà ») ma generoso, ancora una volta, di sentimenti, solidarietà questa volta. Sorprendentemente canonico il testo di un grande come Roberto Vecchioni.
Tra «operai senza lavoro » e ragazzi «che difendono un libro, un libro vero» abbondano le frasi fatte: «stanno uccidendoci il pensiero»; «questa maledetta notte dovrà pur finire»; «difendi questa umanità/ anche restasse un uomo solo». Le «idee sono come farfalle » però se non hanno le ali cadono a terra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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