Per un pugno di voti. Così si intitola il film che vedremo martedì prossimo al Senato in occasione del voto per il rifinanziamento della missione di pace italiana in Afghanistan. La maggioranza - se così si può ancora dire - ha problemi seri. Il ministro per i rapporti con il Parlamento ha detto che se la maggioranza non vota compatta è tutto finito e si torna a casa. Se c'è una cosa che vogliamo rimproverare a Vannino Chiti è quella che non deve farci sognare. Sappiamo bene quanto l'attuale maggioranza è attaccata alla sedia e quanto è decisa e disposta a digerire per rimanere dov'è.
Romani Prodi ha minacciato di mettere la fiducia perché Rifondazione comunista, i Comunisti italiani e i Verdi gli hanno fatto capire che non ce la farebbero altrimenti ad assicurare il voto dei loro senatori.
Non c'è dubbio che questo voto per il centrosinistra sia importante. Suoi rappresentanti vanno facendo grandi discorsi in giro per il mondo, sui quotidiani italiani ed esteri. Si propongono come mediatori per la crisi mediorientale e il vero caos ce l'hanno in casa. Non riescono a votare neanche per una missione di pace. D'altra parte per i comunisti al governo questa è una missione di guerra. E il presidente della Camera - è bene sempre ricordarlo - alla sfilata delle Forze armate del 2 giugno (quella voluta dall'ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi) si appuntò sulla giacca la bandierina della pace perché evidentemente qualche simbolo italiano o anche niente non sarebbe andato bene: non avrebbe marcato il suo senso di disorientamento ad assistere ad una marcia di militari che avrebbe voluto vestiti in ambiti di pace. Come siamo messi.
Detto questo, comunque, siamo ancora a niente. I fuochi di artificio veri verranno in occasione della Finanziaria. Per ora siamo ai mortaretti.
Grossomodo il presidente dei senatori rifondaroli al Senato, il senatore Russo Spena, ha detto che è meglio che il Governo ponga la fiducia sulla missione a Kabul perché se dovessero votare solo quello, nello specifico, sarebbero nell'imbarazzo (cioè sarebbero contro) ma se il voto è complessivo, sul governo allora le cose cambiano e votano. Ora, nella vita, uno può dare ad intendersela finché vuole. Deve sapere che, a volte, gli altri se ne accorgono. Il ragionamento alquanto contorto del senatore seguace di Bertinotti vuol dire che l'importante è rimanere al Governo. Poi il modo di rimanerci si trova sempre e dei contenuti chissenefrega. Cosa vuol dire chiedere di votare la fiducia quando non si è d'accordo (e perché non si è d'accordo) col provvedimento che si deve votare? Cosa vuol dire votare la fiducia ad un governo che rifinanzia la missione a Kabul essendo nettamente contrari con la missione a Kabul? Vuol dire che la sedia e il potere viene prima di tutto. È tutto di una chiarezza disarmante e disarmata, come Bertinotti vorrebbe l'esercito.
Un altro esponente sempre più di spicco del Governo. Il ministro della Solidarietà, Paolo Ferrero, ha già detto - tecnica preventiva - che non sarebbe pregiudizialmente contrario ad eventuali scioperi sulla manovra. Vorremmo ricordargli, ben consapevoli che se ne infischierà altamente e sonoramente, che al governo c'è lui, non altri. E se gli scioperi fossero fatti sarebbero fatti anche contro di lui.
Di materia ce ne sarebbe per andare a casa subito. Ha ragione Vannino Chiti. Ma non per motivi politici o di politica estera o di politica economica e sociale. Per questioni di decenza e di dignità che, alla fine, vengono prima. E a noi basterebbe.
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