«L’uomo sbagliato», storia di una vita scippata

Il caso giudiziario di Daniele Barillà nel libro del giornalista Stefano Zurlo

«L’uomo sbagliato», storia di una vita scippata

da Roma

Soltanto dopo la proiezione in anteprima presso la sede Rai di viale Mazzini della fiction tv «L’uomo sbagliato» tratta dal suo caso giudiziario, Daniele Barillà ha mormorato «giustizia è fatta». Dopo gli anni passati tra il carcere e le aule di tribunale, dopo i tanti processi e soprattutto dopo la piena assoluzione, il giovane imprenditore milanese accusato di essere un corriere della droga per uno sfortunato scambio di persona, non riusciva ancora a frenare l’ansia e la paura per questa sua «vita scippata». La visione del film, interpretato da Beppe Fiorello, gli ha restituito un minimo di speranza. «Non per me - ha precisato allora Barillà -. Ma perché uno sceneggiato televisivo arriva nelle case di milioni di persone. E forse, così, qualcuno può evitare di finire in un “buco nero“ come questo».
Ieri, come allora, Daniele Barillà ha varcato il portone di viale Mazzini per partecipare alla presentazione del libro dedicato alla sua singolare quanto tragica vicenda giudiziaria. A scriverlo è stato Stefano Zurlo, cronista giudiziario del Giornale. Il titolo è rimasto immutato: L’uomo sbagliato. Il caso Barillà (Rai Eri edizioni). Alla presentazione del volume, oltre all’autore, erano presenti anche il ministro della Giustizia Roberto Castelli, il sottosegretario all’Economia Michele Vietti, il giurista e parlamentare Giuliano Pisapia, Carlo Taormina e il direttore del Giornale Maurizio Belpietro.
La vicenda giudiziaria che ha per protagonista Barillà è ormai nota. Nel corso di un posto di blocco, nel febbraio del ’92, l’imprenditore di Nova Milanese viene fermato da una pattuglia dei Ros di Milano che, in collaborazione, con i colleghi di Genova, stava seguendo un’operazione di traffico di droga. L’unica «colpa» dell’uomo è di avere una macchina identica a quella che i militari stavano pedinando alle porte di Milano. Il processo che lo vede imputato si trasferisce a Genova dove i militari del Ros (reparto operativo speciale) guidati dal colonnello Michele Riccio hanno attivamente collaborato alla raccolta delle prova a suo carico.
«I problemi incominciano a Genova - commenta Stefano Zurlo - ma sempre nel capoluogo ligure, per fortuna, trovano una felice conclusione». Infatti, come viene raccontato nel libro, quando nel ’97 parte l’indagine per i presunti abusi del gruppo guidato da Riccio i pubblici ministeri Francesca Nanni e Pio Machiavello si imbattono nel caso di Barillà. «Si trattava - racconta Francesca Nanni - di una procedura assolutamente di routine. Visto che indagavano sui presunti abusi dei Ros dovevamo andare a rivedere le carte dei processi, frutto delle loro indagini. È stato così che ho conosciuto Daniele Barillà».
«Premesso che il libro di Zurlo ricostruisce con la dovuta perizia tutte le fasi di questa triste vicenda giudiziaria - continua il pm -, bisogna precisare che alcuni passaggi che mi riguardano sono stati leggermente “romanzati“, come quando afferma che fin dal primo sguardo ho capito l’innocenza di Barillà. Magari così fosse! Magari avessi questo straordinario potere! In verità, posso solo dire che dopo quell’incontro i miei dubbi sono soltanto aumentati. E da lì, passo dopo passo, siamo arrivati al processo di revisione».
Il caso Barillà insegna soprattutto - come spiega lo stesso Zurlo - è esemplare come spaccato del nostro sistema giudiziario. Prendiamo il caso del colonnello Riccio. Per la città di Genova è sempre stato una sorta di mito. Osannato da tutti per i suoi brillanti risultati. Fu lui ad entrare per primo nel covo di via Fracchia dove si nascondevano i brigatisti. E fin dagli esordì si mise in luce come uno degli allievi più brillanti del generale Dalla Chiesa. Poi il suo arresto nel ’97. E tutto ciò che è seguito.

Fino alla revisione del processo di Barillà che se da un lato mostra l’attento lavoro di due pm genovesi, dall’altro mette in risalto la sciatteria con cui giudici e inquirenti hanno fatto, in principio, precipitare il giovane imprenditore lombardo in un incubo drammatico».

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