Alzi la mano il padre che non si preoccupa del futuro del figlio. È umano, molto umano. È per ciò che tutta questa caccia ai figli di papà, l’ultima è la figlia della Fornero, diventata in questi giorni simbolo dell’italiano da estirpare, puzza di ipocrisia. L’impressione è che per esorcizzare la crisi si cerchi un capro espiatorio. I figli di papà non sono un’eccezione, a tutti i livelli. Se uno lavora in banca o fa il commerciante spenderà una parola per il figlio che fa lo stesso mestiere. A volte non serve neppure, viene naturale. I padri passano ai figli le loro conoscenze, le amicizie, l’ambiente in cui vivono, i ricordi, le esperienze. La maggior parte dei padri, in qualsiasi posto del mondo, cercheranno di dare una mano al figlio disoccupato. Questo accade se il figlio è un genio o se è uno dei tanti. La verità è che poi sarà lui a giocarsi la partita. E se è un incapace la spinta del padre non fa miracoli. È inutile indignarsi. Chi fa lo steso lavoro del padre o della madre parte a favore di vento. Il figlio che sceglie un altrodestino rispetto a quello dei genitori lo sa, lo mette in conto e farà il possibile per bruciare l’handicap.
Qui, sia chiaro, non stiamo parlando di genitori che vanno contro la legge per favorire i figli. Non si tratta neppure di raccomandazioni politiche in posti pubblici o di concorsi truccati. Qui stiamo parlando di normali percorsi della vita. Io sono figlio di un giornalista e questo senza dubbio è un vantaggio rispetto a colleghi con il padre notaio, imprenditore o artigiano. Se avessi voluto fare il notaio anch’io sarei partito svantaggiato e come imprenditore o commerciante non avrei avuto un’azienda già avviata o una clientela storica. Eppure tutti facciamo la faccia da moralisti se questo o quel ministro ha i figli che lavorano, senza sapere nulla di loro, di cosa hanno fatto, come e quando si sono laureati, se sono bravi o se i colleghi li considerano una sciagura umana. Tutti crocifissi a priori e bollati come usurpatori. La figlia della Fornero si è difesa con un’intervista sul Corriere della Sera, snocciolando curriculum ed esperienza. Il suo può essere anche considerato un caso limite, professore associato alla facoltà di Medicina dell’università di Torino, la stessa università nella quale insegnano la madreministro e il padre, Mario Deaglio, economista e giornalista, docente associata nella fondazione finanziata dalla compagnia San Paolo dove la madre è vicepresidente. Ma siamo sicuri che sia indegna di occupare quel posto?
Ci sono figli di papà che hanno riscattato sul campo i pregiudizi. Quando Paolo Maldini a 16 anni debuttò nel Milan, con la stessa maglia del padre e nello stesso ruolo, molti pensarono che il figlio di Cesare stesse lì solo per raccomandazione difamiglia. Oggi Cesare Maldini è soprattutto il padre di Paolo. E nessuno pensa che il figlio non si sia meritata tutta la sua storia. Qualche settimana fa alcuni lettori on line della Gazzetta dello Sport se la prendevano con Gallinari: gioca in Nba solo perché il padre Vittorio era compagno di squadra di Mike D’Antoni. Come se bastasse questo per sopravvivere sotto canestro in America. Danilo comunque ha spazzato via ogni dubbio massacrando New York proprio sotto gli occhi
di D’Antoni. Questi sono esempi sportivi, ma anche sul posto di lavoro la fiducia e la dignità non te la guadagni all’ombra di un padre. Non basta. Non è mai bastato. Il vero problema in Italia è un altro. Ècheinquesto Paese con troppi muri e troppe frontiere, con una scuola che non fa più selezione e livella tutti, con le corporazioni e un welfare che difende i furbi e non i deboli, quello che manca davvero è la mobilità sociale. Non ha senso colpevolizzare i figli di papà, mentre bisogna fare in modo che chi non ha le possibilità economiche e sociali, chi fa un lavoro diverso da quello dei padri, abbia la possibilità di azzerare l’handicap di partenza e inserirsi nel mercato del lavoro, mostrando valore, fatica e talenti. È la burocratizzazione dei salari, basati più sull’anzianità che sul merito, a danneggiare i migliori. È la voglia di non rischiare, la normalizzazione, l’idea che tutti meritano gli stessi soldi, la sindacalizzazione becera, quella che non difende i diritti ma i privilegi, a penalizzare chi non ha santi in paradiso.
I figli di papà, con qualsiasi sistema sociale e economico, avranno un bonus iniziale. Come detto: è umano e eterno. Quello che si può cambiare è il resto. È quella cultura che considera il posto di lavoro un diritto, non un’opportunità. Allora, è il caso di dire: mammoni no, figli di papà sì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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