L'albergatore che faceva ridere Bramieri

È siciliano ma vive in città dall'84. Ha rilanciato tre hotel fuori dalle grandi catene: Carlyle, Ariosto, Zurigo

L'uomo che fece crescere un ananas sulla Torre Velasca e che raccontava barzellette in siciliano a Gino Bramieri. Non saranno le avventure più memorabili nella vita di Emanuele Vitrano, ma ne indicano stile e temperamento. Vitrano, 57 anni, è un mago dell'hotellerie milanese.

I suoi Hotel Carlyle Brera, Ariosto e Zurigo - indipendenti rispetto alle grandi catene - sono nel non vasto gruppo degli alberghi di qualità che i motori di ricerca più importanti mettono in cima alle preferenze. «Faccio questo mestiere da trent'anni», dice Vitrano, con piacevole accento della sua Palermo. «È il miglior modo di girare il mondo senza muoversi. Il mondo viene da te, camuffato da turista giapponese, uomo d'affari indonesiano, mercante arabo, studente americano, petroliere kazako...».

Vitrano, laurea in agronomia, sbarca a Milano in pieno craxismo, nel 1984. «Era una città straordinaria. Vista da qui, la mia Sicilia che si credeva il centro del mondo sembrava un puntino perso nel nulla. Venni qui perché mio padre aveva preso, in società con altri, il piccolo Hotel Zurigo di corso Italia. Funzionava, con le quattro camere. Ma non offriva il breakfast, i bagni non erano in ogni stanza. Andava rimodernato, e così feci, diventando socio con papà, che garantì per il mio prestito in banca».

Vitrano non si accontentò della buona volontà, ma si iscrisse alla Sda (Scuola Direzione Aziendale) della Bocconi, per aggiungere cultura e sguardo internazionale al suo business. Si consolidò l'innamoramento per Milano, metropoli con angoli segreti e grandi tesori d'arte. «Scoprii la Pinacoteca di Brera, la Braidense e la Biblioteca Ambrosiana, con il Codice Atlantico di Leonardo. Eppure lo sa che cosa vogliono vedere prima di tutto gli ospiti dei miei alberghi? San Siro. Con il Mantegna a Brera, vogliono lo stadio!».

Inutile dire che Vitrano cerca di indirizzarli in chiese e musei, ma è una battaglia persa. «Anche l'Expo, tanto strombazzato, finora non ha aiutato il brand Milano. E ha tradito la sua ragione d'origine. Bisognava portare i contadini, parlare di sementi e strategie di semina di fronte alla siccità, ai problemi del pianeta». Si sente l'agronomo che parla con fervore, ed ecco l'aneddoto dell'ananas. «Avevo un appartamento nella Torre Velasca, con riscaldamento a soffio degli anni Sessanta. Misi una pianta in un angolo favorevole, e crebbe, con mia felicità. Nella Torre abitava Bramieri, lo divertivo raccontandogli storielle della mia terra, imparate nella trattoria dell'Emiro, che papà aprì a Palermo quando ero ragazzino, a un passo dalla Vucciria. Nella trattoria, e nel ristorante Al Cassero che ne seguì, imparai che nel lavoro ci vogliono onestà e impegno. Se lavori così, il successo arriva».

Vitrano, che nella Milano ruggente anni Ottanta («bacata dal verme della corruzione, ma con burocrazia più efficiente che nel resto d'Italia») lavorava tanto e tanto si divertiva («donne da ogni parte del mondo, serate al Nepenta, Plastic, Club 2»), aggiunse perle alla sua collana. Prima l'hotel Ariston al Carrobbio, «il primo in Europa sostenibile ed ecologico, dai mobili all'aria condizionata». Poi il grande salto.

«Nel 1994 feci un'offerta per il Carlyle di corso Garibaldi, sul mercato dopo il crack Ferruzzi, Gardini e Fondiaria. Mi sentivo una pulce negli uffici di Mediobanca, quelli di Cuccia, ma la mia proposta venne accettata. Da allora il Carlyle è l'albergo al quale dedico le maggiori cure. Il gioiello della mia holding Brera Hotels, cento camere, molta attenzione al food. Non ristoranti gourmet, ma esperienze temporary di alta qualità: in autunno ospiterò Martina Caruso, bravissima chef della famiglia che ha il Signum di Salina, uno dei migliori alberghi del Mediterraneo».

La Sicilia resta nel cuore di Vitrano, palermitano che ama e conosce Milano fino a cercarne le ombre che ristorano all'Acquario civico del Sempione. Mentre indica l'orto urbano che ha fatto crescere al Carlyle, illustra un'altra sua perla: l'Hotel Ariosto, palazzo liberty nell'omonima via. I suoi hotel li gestisce girando in motorino. Sono tutti racchiusi nel cuore della città.

«Diceva bene Charles Forte.

Le tre regole per far lavorare un hotel sono: location, location and location. Io le rispetto». Gli chiediamo di indicare due posti dove mangiare. «Al Matarel, per la cucina milanese tradizionale, posto perfetto. E da Wicky Cuisine: il miglior sushi da un grande cuoco».

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