Li incontrai quasi di nascosto, in una notte frenetica tra il 20 e il 21 marzo del 2019, al Teatro Manzoni di Milano, i giovani studiosi Claude Douglas Dickerson, oggi senior curator del settore dell'«Arte europea e americana» presso la National Gallery of Art di Washington, ed Emerson Bowyer, curatore di «Pittura e scultura d'Europa» all'Art Institute of Chicago. Erano venuti in Italia, determinati e con le idee chiare, ed erano sereni al pensiero che la loro mostra sarebbe stata nel 2023. Non ebbi nessun dubbio nell'accordargli il prestito delle terrecotte di Canova esposte nella luce filtrata dell'ala Scarpa della Gypsotheca di Possagno, entro vetrine perfette disegnate dallo stesso architetto. Sapevo che sarebbe stato giusto celebrare il secondo centenario della morte del grande scultore mostrandolo in America in una interpretazione critica diversa da quella consueta dei gessi e dei marmi, e infallibile, perché dedicata al momento originario delle sue invenzioni, con una libertà di esecuzione che nelle opere finite si sarebbe comunque congelata.
I modelli in argilla sono la risposta che liberò Canova dal giudizio estremo e severo di Roberto Longhi: «Antonio Canova, lo scultore nato morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all'Accademia, e il resto non so dove». Il mio slancio fu immediato pensando al risarcimento di una richiesta così precisa e lusinghiera per me che sono il presidente della Gypsotheca di Possagno che contiene tutte le opere di Canova. Per quasi un anno le terrecotte staranno in America, lasciando orfane le vetrine vuote, tanto che fino all'ultimo ho dovuto contrastare la resistenza della Soprintendenza alle Belle Arti che mostrava riserve e perplessità sul prestito. Nessun dubbio che questo sia il momento dell'arte italiana e del suo più alto riconoscimento internazionale. La mostra di Canova ha infatti un significato pari, se non superiore, a quella delle opere di Capodimonte al Louvre, nel dialogo fra Napoli e Parigi, con un riconosciuto significato politico e diplomatico. E non meno importante è la presenza di Canova negli Stati Uniti.
Il governo e io stesso non siamo stati altrettanto tempestivi nel riconoscere il rilievo di questa occasione: uno dei più piccoli musei del Veneto viene accolto in due dei più grandi musei americani. Lo ha testimoniato per il governo italiano l'ambasciatrice d'Italia Mariangela Zappia: «Le straordinarie mostre della National Gallery sui capolavori italiani e il loro costante successo di pubblico rappresentano grandi opportunità per rafforzare il legame tra i nostri due Paesi, promuovendo l'incomparabile patrimonio artistico italiano, che vede in Canova una delle sue espressioni più alte e più conosciute anche qui negli Stati Uniti». Oltre trenta le sculture in terracotta provenienti da Possagno, da Bassano, da Padova, da Udine, da Lovere. Completano la mostra sette gessi e quattro sculture in marmo. Il risultato è «la più importante mostra sull'opera di Canova mai realizzata negli Stati Uniti, dedicata ai modelli in terracotta», come l'ha definita, entusiasta, Eric Motley, vicedirettore della National Gallery di Washington. Riconoscimento che ripaga dell'impegno e anche del sacrificio di privarsi di invenzioni così assolute.
Quattro sono le sezioni tematiche in cui è suddivisa la mostra: miti e leggende, fede, monumenti e ritratti. Difficile stabilire la gerarchia di pezzi così preziosi. Ci sono i modelli connessi alle origini artistiche di Canova a Venezia, ma anche quelli legati alle prime importanti commissioni a Roma. Come gli studi per i monumenti a papa Clemente XIII e papa Clemente XIV. Di particolare pregio, gli straordinari e rapidissimi modelli plasmati per uno dei capolavori più amati, ovvero Amore e Psiche. Presenti anche i bozzetti per le celeberrime Tre Grazie. A rendere preziosa la collezione, la parlante scultura in marmo di Letizia Ramolino, madre di Napoleone, accompagnata dai tre vibranti modelli che ne precedettero l'esecuzione.
Mentre l'8 giugno si inaugurava la mostra a Washington, io ero a Parigi e, vedendo al Louvre Amore e Psiche di Canova, ripensavo all'emozione di Gustave Flaubert: «Non vidi altro nel resto della galleria. Ci sono tornato più volte e, l'ultima, ho baciato sotto l'ascella la donna in deliquio che tende verso Amore lunghe braccia di marmo. E il piede! E la testa! Il profilo! Mi si perdoni, dopo molto tempo è stato il mio unico bacio sensuale, ed era qualcosa di più: baciavo la bellezza stessa, ed era al genio che sacrificavo il mio ardente entusiasmo». La felicità delle mostre americane è nell'avere privilegiato i modelli in creta che rivelano un'assoluta libertà di concezione e consentono di apprezzarne, con la nostra sensibilità, una modernità fuori del tempo, che non teme il confronto con i bozzetti di Rodin, di Arturo Martini, di Alberto Giacometti e perfino di Costantino Nivola. Partendo da quelle prime idee s'intende il percorso di Canova verso una compostezza che era il suo modo di far rivivere la grandezza degli antichi. Lo dice in modo molto preciso Francesco Hayez: «Il Canova faceva in creta il suo modello; poi gettatolo in gesso, affidava il blocco a' suoi giovani studenti perché lo sbozzassero e allora cominciava l'opera del gran maestro. (...) Essi portavano le opere del maestro a tal grado di finitezza che si sarebbero dette terminate: ma dovevano lasciarvi ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi lavorata da Canova più o meno secondo quello che questo illustre artista credeva dover fare».
Mentre Dickerson e Bower provvedevano a riconoscere in Canova il continuatore dell'esperienza di Gian Lorenzo Bernini, nelle terrecotte preparatorie per i suoi monumenti, appariva sul mercato, presso il sapiente Carlo Virgilio, un nuovo formidabile bozzetto di una figura femminile dormiente, con la velocità di esecuzione dei modelli conosciuti, che ho voluto fosse simbolicamente esposta a Possagno per temporaneamente compensare l'assenza delle compagne volate in America. Una di quelle apparizioni che si rivelano come miracoli, confermando le riflessioni di Dickerson: «La rassegna sarà per molti una sorpresa: se di Canova (1757-1822) tutti apprezzano i marmi sensuali e levigati, pochi conoscono la sua fragile produzione in argilla. E questo è ancor più vero per gli Stati Uniti dove le sue terrecotte sono state raramente esposte. Sono lavori che rivelano molto dei suoi processi creativi, modelli che talvolta l'artista realizzava per dare al committente un'idea di come sarebbe stata l'opera finale. Bozzetti che venivano eseguiti nelle stanze private del suo studio a Roma e che ci svelano un Canova diverso, impetuoso, audace. Con questa mostra, la più grande mai allestita negli Stati Uniti su questo scultore, scopriamo che ci sono due Canova. C'è un Canova che amava l'argilla, un materiale che gli offriva la possibilità di esplorare le sue idee, di sperimentarle. In questi lavori che l'artista realizzava velocemente, in mezz'ora o poco più, si distinguono le impronte delle sue dita, si percepisce il tocco vitale, palpitante. C'è, poi, il Canova che doveva soddisfare le numerosissime commissioni di un pubblico internazionale che lo considerava una sorta di nuovo Fidia e richiedeva marmi di assoluta perfezione. In questo artista convivono, dunque, due diversi aspetti: il Canova intimo, privato, che amava vivere in un posto tranquillo, disegnare ed esprimersi con l'argilla, e il Canova pubblico, nel cui studio lavoravano decine di persone, che conosceva le aspettative dei suoi committenti: solo marmi meravigliosi, perfetti. Canova considerava i bozzetti come qualcosa di molto personale ed era solito regalarli agli amici, alle persone che gli erano più vicine. E proprio per questo motivo la maggior parte di questi modelli sono andati dispersi. Riteniamo che ne abbia eseguiti centinaia, se non migliaia, ma ne sono arrivati a noi ben pochi».
Gli siamo riconoscenti per aver
riconosciuto, in particolare, la grande generosità della Gypsotheca e Museo di Possagno nel prestare venti di questi bozzetti. Non si poteva chiudere meglio l'anno delle celebrazioni di Canova, aperto il 13 ottobre del 2022.
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