L'Aquila, viaggio tra le macerie dove il Pd frena la ricostruzione

Un viaggio lungo le strade principali della città fantasma: foto. Il sindaco Cialente pensa al piano regolatore, ma bisogna intervenire palazzo per palazzo. GUARDA il video esclusivo

L'Aquila, viaggio tra le macerie 
dove il Pd frena la ricostruzione

nostro inviato a L’Aquila

Il viaggio nel silenzio inizia oltre corso Federico II, al termine di una grata dove gli aquilani, da più di un anno, appendono i loro ricordi. E’ "l’angolo del poeta", lo spazio dei sogni, delle poesie e delle foto. A questa grata venivano appese le chiavi nell’autunno delle proteste, più di un anno fa. Ora la bacheca dei poeti segna la frontiera tra il piccolo centro aperto ai cittadini e il luogo dove non può entrare nessuno. Il cigolio del varco di ferro che si apre è l’unico suono nell’Aquila abbandonata.

E’ la città dei fantasmi, un centro storico superiore a quello di Firenze, ci spiega la nostra guida, Enzo Lombardi, già senatore ed ex sindaco dell’Aquila, il Virgilio di questa spedizione nell’inferno di case abbandonate, storte, sventrate, puntellate con cura dai vigili del fuoco nei primi mesi dopo il terremoto del 6 aprile del 2009 e adesso sospese alle decisioni dell’amministrazione comunale. Un viaggio lungo le strade principali, come via Paganica, via Garibaldi, la strada del passeggio e ora silenziosa, deserta, lugubre, le chiese più belle, come san Silvestro, San Bernardino, santa Maria della Misericordia, con campanili spaccati a metà, soffitti crollati, navate che scoppiano di massi. Camminiamo tra cunicoli di tubi per il sostegno dei palazzi, scavalcando macerie ancora accatastate. Se si evita di parlare il silenzio è spaventoso, gli unici suoni intorno sono i colpi delle scarpe sul suolo, il piccolo scatto della macchina fotografica, il cigolio di un’altra sbarra che la nostra guida spalanca per portarci in un nuovo silenzio: all’interno di quello che doveva essere un negozio si vede un lavacapelli di parrucchiere, contro la parete di un palazzo è poggiato un aspirapolvere, poi ancora brecce nei muri, una montagna di pietre che era una casa, e ancora i tubi delle puntellature, la trama delle reti rosse di plastica per delimitare i palazzi a rischio di crollo.

All’improvviso si aprono squarci nei muri talmente grandi da poter vedere tutto l’interno, spicchi di abitazioni sfasciate: un tavolino con una bottiglia d’acqua minerale posata sul legno, lo sciacquone di un bagno sradicato dal muro. Sembra una Pompei con i casalinghi, e la polvere di quasi due anni copre di una patina grigia ogni oggetto. Due maschere nere disegnate su un’insegna rosa sono il simbolo di un "laboratorio teatrale". All’interno tutto è fermo, buio, rivoltato, abbandonato. In due ore di cammino incontriamo solo quattro operai. "In Comune nessuno si decide a procedere con la ristrutturazione - ci spiega Lombardi, che presiede la commissione controllo e vigilanza del Comune - Il sindaco Cialente pensa al piano regolatore, ma qui bisogna iniziare a intervenire palazzo per palazzo. In questo posto non c’è più nulla, gli italiani non lo sanno, perché nessuna televisione viene qui a vedere".

Non c’è più vita in questo centro di piazze piene di luce, di scorci di montagna che compaiono in fondo ai vicoli, una bellezza ancora evidente, pietrificata nel silenzio. Poi, di colpo, una luce diversa, un particolare che stride con tutto quello che c’è intorno: un negozio aperto, una pasticceria. Tullio Manieri, c’è scritto. E’ una pazzia, un negozio di paste aperto in un centro deserto, una sfida a ogni divieto.

"Da ottobre", ci spiegano sorridenti i gestori, e offrono tarallucci e torrone allo zafferano. Tengono aperto per i pochi aquilani che, scortati dai pompieri, ancora vengono a recuperare qualcosa nelle loro case. O per gli sparuti operai che si vedono qui intorno. O per se stessi. 

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