Dopo le grandi dimissioni è tempo di grande rammarico. Ecco dove sono finiti

Uno studio condotto dal Politecnico di Milano racconta le conseguenze del fenomeno delle grandi dimissioni mostrandone il lato oscuro. Il 41% di chi ha lasciato il lavoro se ne pente, mentre non tornerebbero indietro 7 persone su 100

Dopo le grandi dimissioni è tempo di grande rammarico. Ecco dove sono finiti
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Nell’era post-pandemica tutta Europa ha conosciuto il fenomeno delle grandi dimissioni, persone che hanno lasciato i rispettivi impieghi. L’Italia non ha fatto eccezione, tant’è che nel 2022 è stato censito un boom (+22%) di dimissionari.

Un andamento che ha attirato la curiosità anche di psicologi e sociologi convinti che, a dettarne l’esigenza, fosse la necessità dei lavoratori di trovare maggiore equilibrio tra vita lavorativa e vita professionale, la convinzione di avere diritto a trattamenti (non solo economici) migliori e il bisogno di affrontare nuove sfide professionali.

Fatto sta che oggi, secondo i dati dell’Osservatorio Hr Innovation Practice del Politecnico di Milano, le conseguenze di questo abbandono del lavoro di massa sta avendo ripercussioni pesanti.

Grandi dimissioni e pentimento

Il sondaggio sancisce che il 41% dei dimissionari si pente della decisione presa o, più in generale, non ne ha tratto soddisfazione o giovamento.

Il 55% dei lavoratori sta cercando ancora quella migliore dimensione professionale a cui ambiva quando è uscito dal mondo del lavoro e soltanto il 7% non rimpiange la scelta fatta.

Dallo studio, realizzato dal Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, emerge anche che il 42% degli 800 lavoratori intervistati, ha sperimentato episodi di malessere psicologico nel corso dell’ultimo anno.

Il rapporto tra dimissioni e talenti

Da una parte i lavoratori fuggono alla ricerca di esperienze professionali migliori, dall’altra le aziende hanno penuria di talenti. Il risultato è un ossimoro: nel corso del 2023 il 59% delle organizzazioni intende assumere personale ma il 94% di queste fa fatica a trovare dipendenti.

Intesa in modo ampio, questa difficoltà ha delle ricadute economiche calcolate in ragione di 37,7 miliardi di euro (dato 2022). La lentezza nel rimpiazzare l’organico o nell’ampiarlo causa quindi danni ingenti alle imprese e questo andamento è in aumento, ciò significa che il futuro non sembra essere roseo.

Le professioni più richieste

Proprio mente si dibatte sulla presunta scure che le Intelligenze artificiali brandiranno sulle teste dei lavoratori, le aziende dimostrano una realtà diversa: mancano tanto specialisti nel digitale quanto operai, tecnici e manutentori. Non a caso i profili di chi ha imboccato il tunnel delle grandi dimissioni e questo è un altro ossimoro.

Chi ha lasciato il lavoro per cercare esperienze professionali più appaganti fa fatica a trovarne e, sul fronte opposto, le aziende sperimentano difficoltà nell’offrire impieghi allettanti sotto il punto di vista delle condizioni di lavoro. Sembra una partita in perenne parità.

Il pareggio e gli equilibri

Secondo il Politecnico meneghino gli equilibri tra vita e lavoro seguono due dinamiche. Il 43% dei lavoratori sostiene che la soddisfazione professionale non possa essere scissa da quella privata.

Il 57% dà pari importanza alla soddisfazione sul lavoro ma non vuole mischiarla con gli aspetti personali della propria vita.

Questi, però, sono i desideri a tendere, gli obiettivi ultimi. Oggi la realtà dice tutt’altro, ovvero che 4 dimissionari su 10, potendo tornare indietro, non lascerebbero i rispettivi impieghi.

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