AI, ecco i nuovi posti di lavoro, le aziende che cercano

Le Intelligenze artificiali creano nuovi posti di lavoro e le aziende lamentano una certa difficoltà nel reperire le competenze necessarie. Nel frattempo, Goldman Sachs prevede 300 milioni di impieghi sacrificabili in diversi settori

(Immagine: https://pixabay.com/geralt)
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Per farsi un’idea di ciò che sta accadendo è sufficiente andare su uno dei tanti portali che mediano la domanda e l’offerta di lavoro (qui un esempio). Le aziende italiane cercano una quantità crescente di profili professionali legati al mondo dell’Intelligenza artificiale (AI) e fanno fatica a colmare le necessità legate ai nuovi posti di lavoro che questa crea ed esige per funzionare al meglio.

Una situazione che, seppure con geometrie variabili, è comune ovunque nel mondo e, proprio mentre le mancanze di profili specializzati emergono, gli analisti di Goldman Sachs prevedono una moria di impieghi tradizionali, fino a 300 milioni di posti di lavoro sacrificati in nome degli automatismi e degli algoritmi.

I nuovi lavori

La digitalizzazione è possibile soltanto grazie ai dati ed è proprio in questo settore che si palesano le maggiori mancanze di profili professionali. I dati sono la base della piramide e se questa vacilla, è facile comprendere che tutte le discipline che si ergono sui dati traballino ancora di più.

Si verificano situazioni paradossali: l’Italia è al nono posto in Europa per la ricerca sulle AI ma il 40% delle imprese non sfruttano i dati perché mancano Data scientist, ossia coloro che preparano, analizzano ed estraggono informazioni dai dati anche per metterle a disposizione di algoritmi, automatismi e strategie aziendali.

Più in generale, in Italia il 12% degli annunci di lavoro è indirizzato a chi ha elevate competenze digitali, non si tratta di sapere usare un computer o installare una stampante, si parla di conoscenze di alto livello, di approcci scientifici alle materie informatiche che contemplino la programmazione, l’ingegnerizzazione di flussi e processi, le telecomunicazioni e la creazione di architetture ad hoc.

Una necessità che include qualsiasi comparto e qualsiasi settore e che, per esempio, concerne anche la sanità pubblica o privata che sia. I profili che emergono su tutti sono:

  • Scienziati dei dati (Data scientist)
  • Programmatori
  • Designer di oggetti indossabili (sensori, Smart watch, dispositivi medici, …)
  • Esperti di sicurezza informatica
  • Progettisti di sistemi software / hardware integrati
  • Realizzazione di piattaforme per l’interazione a distanza
  • Operatori nella logistica automatizzata

A queste figure si aggiunge la sempiterna necessità di una cultura digitale a qualsiasi livello professionale, perché si va sempre più verso un ambiente di lavoro nel quale uomo e macchina collaborano tra loro.

Gli impieghi citati sopra possono sembrare astrusi a chi è meno avvezzo alla materia e che chiariamo con due esempi, uno riguardante l’industria e l’altro il commercio nel senso più generale del termine.

Due esempi

Un braccio robot è in grado, da solo, di prendere la portiera di una vettura da uno scaffale e posizionarlo correttamente sulla carrozzeria e, mentre lo sorregge, un altro braccio automatico avvita le cerniere della portiera con una forza e una precisione sovraumane.

Due bracci fanno il lavoro di tre persone meglio di quanto lo farebbero queste ultime. Tuttavia, il braccio va costruito e questo non basta, perché all’interno dell’azienda che ne fa uso qualcuno deve istruirlo fornendo le coordinate spaziali necessarie a compiere ogni singolo gesto nel modo esatto in cui ogni va espletato. Inoltre, i bracci sono meccanici e la meccanica si rompe, occorre quindi una figura professionale in grado di ripararli e il manutentore deve avere nozioni di meccanica, elettronica e informatica, perché un malfunzionamento può essere causato da un’incongruenza software.

Questi bracci possono essere gestiti a distanza e questo implica un operatore umano capace di intervenire, implica una tecnologia che metta in condizione l'operatore di intervenire (quindi software e connettività) e impone anche principi di cyber security, per impedire accessi non autorizzati.

Usciamo dalla fabbrica per entrare nel servizio di assistenza post-vendita di un operatore telefonico. Chiunque abbia già provato a consultare il sito web del proprio operatore si è trovato confrontato con un Chatbot, una chat che dovrebbe avere il compito di risolvere il problema che ha spinto l’utente a farne uso.

Queste chat – che funzionano ancora decisamente male – operano grazie a un addestramento lungo che, inutile dirlo, si fonda sui dati. Può darsi che un giorno l’operatore umano non ci sarà più, ma ci saranno altre figure professionali che istruiranno costantemente i Chatbot affinché riescano a mantenere le performance dell’uomo, sapendo rispondere in modo puntuale e risolvendo davvero il problema che l’utente sta lamentando. Dati e informazioni che vanno raccolte, elaborate e rese comprensibili ai sistemi di assistenza automatici.

Non da ultimo, i dati, i software e l’hardware necessari a qualsivoglia automatizzazione vanno acquistati e venduti. Cambia anche la figura del broker che, per agire sui rispettivi mercati, deve conoscere in modo approfondito i prodotti di cui si occupa.

Quali settori usano le AI

La risposta breve è “tutti”. La risposta più elaborata comporta una lunga disquisizione che proviamo a riassumere di seguito. Ogni azienda, a prescindere dal settore in cui si situa, ha necessità di digitalizzazione. Il fatto che ancora non stia sviluppando processi automatizzati dipende da diversi elementi, che vanno dalla mancanza di una cultura propriamente digitale alla mancanza di fondi, passando anche per le evidenti difficoltà nel trovare le risorse professionali adeguate.

Il discorso va affrontato quindi con un livello di analisi maggiore. Le imprese che cercano profili professionali con una chiara e superiore cultura digitale sono ovunque, nel primario (agricoltura), nel secondario (trasformazione di materie prime) e nel terziario (servizi).

È sbagliato credere che sia soltanto il secondario, ossia le fabbriche, a necessitare di automazione e quindi di Intelligenza artificiale. È vero che, nell’immaginario collettivo, è l’operaio quello che può essere più facilmente sacrificato sull’altare dell’innovazione. La realtà, però è diversa.

C’è anche il comparto dello sviluppo delle tecnologie gestite dalle AI che, per produrre innovazione, ha bisogno di profili altamente specializzati e queste imprese fungono da collettore: più riescono a vendere tecnologie e più personale hanno bisogno per svilupparle, costruirle, venderle e manutenerle.

Il video sotto mostra un robot che raccoglie mele. Si usa anche in Italia e, tra i produttori di questa tecnologia, figurano anche realtà nazionali. Servono meno uomini a raccogliere le mele, servono molti uomini per ingegnerizzare, produrre, sviluppare, mantenere e istruire queste macchine.

Si può obiettare, non del tutto a torto, che questi bracci sono più lenti dell’uomo. C’è da considerare che, a differenza dell’uomo, con il tempo diventeranno più veloci e performanti e, inoltre, lavorano in qualsiasi condizione climatica, non si stancano e non si ammalano. Si rompono, certo, ma possono essere riparati in tempi molto brevi.

La profezia di Goldman Sachs

Secondo gli analisti di Goldman Sachs le AI cancelleranno 300 milioni di posti di lavoro nel mondo. Un’analisi stupefacente, capace di predire l’automatizzazione del 24% degli impieghi in Europa e un aumento del Pil del 7%. Meno impieghi tradizionali e più impieghi negli ambiti tecnologici.

Nessuno vuole smentire il parere degli analisti della più grande banca d’affari al mondo, va però valutato che si tratta di uno studio monodimensionale. Paradossalmente, uno studio italiano, racconta uno scenario diverso nella misura in cui si valutano più dimensioni.

Per esempio, in un contesto economico di crescita, un’impresa che ha automatizzato parte dei propri processi (si parla della collaborazione tra uomo e macchina) tenderà ad avere bisogno di più personale scarsamente qualificato. Ovvero, una fabbrica che produce più in fretta e che deve soddisfare molti ordinativi tenderà ad assumere più operai.

Quali impieghi soffriranno l’avvento delle AI

Per lo più si parla di figure amministrative. Per fare un esempio, un software gestito da un’AI capace di leggere documenti, può facilmente assolvere ai doveri contabili di un’azienda, inserendo scritture contabili precise a seconda del documento esaminato.

Saranno meno necessari, in un futuro prossimo ma non vicinissimo, gli addetti ai servizi alla clientela.

Anche in questo caso, però, le predizioni sono monodimensionali. Non considerano lo spazio in cui si situano (ossia le professioni) né il tempo.

Ognuno può accettare che un Chatbot gli spieghi come riconfigurare internet sul proprio dispositivo mobile, nessuno però accetterebbe che gli leggesse una diagnosi medica. Nonostante ciò, ovunque nel mondo, le AI sono di supporto alla medicina. Istruite a leggere decine di milioni di radiografie e a sapere come evincerne informazioni preziose, le AI trovano piena applicazione grazie all’analisi finale svolta da un medico, al quale resta il compito di confermare la bontà della diagnosi formulata.

Infine, è corretto dire che le AI cambieranno il mondo del lavoro, lo stanno già facendo. È meno corretto asserire che ridurranno l’importanza dell’uomo nel quadro delle professioni e, soprattutto, è meno onesto fare previsioni. Se ciò dovesse accadere – e può accadere – non si verificherebbe né domani né tra 10 o 20 anni. Le tecnologie, tutte le tecnologie, soffrono di un pregiudizio immortale: il loro impatto è sovrastimato nell’immediato e sottostimato sul lungo periodo.

Chiariamo con un esempio: il Gps è nato nel 1973 e, all’epoca, se ne è parlato come una tecnologia che avrebbe cambiato il modo di intendere il mondo. Ci sono voluti 25 anni prima che se ne risentisse parlare e che diventasse veramente diffuso.

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