L’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pubblicato ieri le sue conclusioni nella causa C-19/23, avviata dalla Danimarca e sostenuta dalla Svezia, per richiedere l’annullamento della Direttiva (UE) 2022/2041 sui salari minimi adeguati. Le conclusioni propongono alla Corte di accogliere il ricorso, dichiarando nulla la direttiva per eccesso di competenze da parte dell’Unione Europea. Un parere che, se accolto, potrebbe segnare una battuta d’arresto significativa per le politiche sociali europee e per i sostenitori di un salario minimo comunitario, a partire dalla Cgil e dal Pd in Italia.
Le argomentazioni dell’Avvocato generale
L’Avvocato generale ha evidenziato tre punti critici nell’adozione della direttiva, richiamando l’articolo 153, paragrafo 5, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che esclude esplicitamente le retribuzioni dalle competenze dell’Unione. Secondo questa interpretazione:
L’esclusione dell’articolo 153, paragrafo 5, riguarda tutti gli aspetti delle retribuzioni, inclusa la fissazione di salari minimi, non solo l’armonizzazione retributiva.
L’Unione Europea non ha alcuna competenza a intervenire in materia retributiva, nemmeno per stabilire requisiti minimi, poiché ciò costituirebbe un’ingerenza nelle prerogative nazionali.
Sebbene la direttiva salvaguardi formalmente l’autonomia contrattuale, ciò non garantisce il rispetto dell’esclusione di competenza europea in materia di retribuzioni.
In aggiunta, il ricorso danese ha sollevato dubbi sulla validità della procedura legislativa adottata, sostenendo che la direttiva persegua obiettivi distinti (condizioni di lavoro e rappresentanza collettiva) che richiederebbero percorsi decisionali diversi. Tuttavia, su questo punto, l’Avvocato generale non ha ravvisato una violazione procedurale.
Impatti sull’Ue e sugli Stati membri
Se la Corte di Giustizia seguirà le conclusioni dell’Avvocato generale, come accade nella maggior parte dei casi, la direttiva sarà annullata. Ciò significherebbe che gli Stati membri non sarebbero più vincolati agli obblighi previsti dal testo normativo. Questa prospettiva potrebbe avere ripercussioni significative, specie in quei Paesi che hanno già adottato disposizioni basate sulla direttiva o che stavano pianificando modifiche normative in tale direzione.
Secondo Silvia Spattini, ricercatrice di Adapt, questa decisione solleverebbe importanti interrogativi sulla possibilità dell’Unione di intervenire in settori considerati centrali per il mercato del lavoro e il welfare. Inoltre, la pronuncia potrebbe inasprire il dibattito sull’equilibrio tra competenze nazionali e sovranazionali, un tema centrale nella configurazione dell’Unione.
Una sconfitta per Landini e Schlein
La possibile invalidazione della direttiva rappresenterebbe una battuta d’arresto per i partiti e i sindacati che hanno sostenuto il salario minimo come strumento di lotta alla precarietà e alle disuguaglianze. Per il leader della Cgil, Maurizio Landini, l’adozione di un salario minimo europeo è cruciale per contrastare anni di politiche che hanno accentuato l’insicurezza lavorativa. Anche l’opposizione politica italiana, guidata dal Partito Democratico di Elly Schlein, si era impegnata a riportare il tema in Parlamento con forza, sostenuta da milioni di firme raccolte attraverso una campagna nazionale.
Tuttavia, economisti e analisti avevano sollevato dubbi sull’effettiva incisività della direttiva.
Secondo gli esperti de La Voce, di orientamento keynesiano, il testo, tuttavia, risultava “blando”, privo di meccanismi realmente vincolanti per garantire un salario minimo uniforme e adeguato nei diversi Stati membri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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