Un leader delle toghe rosse sarà braccio destro di Mastella

Claudio Castelli, l’ex segretario di Magistratura democratica al vertice dell’organizzazione giudiziaria

Anna Maria Greco

da Roma

Un po’ in sordina, mercoledì sera, il Consiglio superiore della magistratura ha nominato Claudio Castelli al vertice del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia. In uno dei ruoli chiave del palazzo di via Arenula arriva così l’ex-segretario della corrente di sinistra delle toghe, Magistratura democratica, uno dei più accesi oppositori delle leggi della Casa delle libertà in questo campo.
E sarà accanto al nuovo ministro dell’Unione, Clemente Mastella, che Castelli lavorerà per demolire molto, se non tutto, quello che ha fatto il precedente Guardasigilli e suo omonimo, Roberto Castelli. A incominciare, naturalmente, dalla riforma dell’ordinamento giudiziario, tanto vituperata dall’Associazione nazionale magistrati di cui è stato vicepresidente e segretario.
Sempre antagonisti, i due Castelli hanno lottato duramente negli ultimi anni, in cui ben 4 scioperi delle toghe hanno ostacolato il cammino della riforma. Scioperi che le correnti di sinistra, Magistratura democratica in tasta, fomentavano sia per motivi corporativi che per convinzioni ideologiche.
Ora, il magistrato del tribunale di Milano può continuare la sua missione da un posto privilegiato. Forse, la sua influenza potrà mitigare gli attriti tra Mastella e la magistratura associata, di cui si è avuto un assaggio all’ultima assemblea dell’Anm, quando il ministro è stato contestato per la scelta del governo di procedere con un disegno di legge e non con decreto-legge, come promesso, alla sospensione dei decreti attuativi del nuovo ordinamento giudiziario.
L’armonia stabilita nella luna di miele dei primi giorni, con la visita del Guardasigilli all’Anm, le aperture mastelliane al dialogo e le assicurazioni di interventi punitivi sulla precedente produzione legislativa, sembrava già incrinata. Certo, il nuovo ingresso a via Arenula di Castelli potrà essere utile al ministro a superare i nuovi sospetti e a riannodare le fila del discorso. Chi meglio dell’ex-segretario di Md può essere ambasciatore del titolare della Giustizia con le correnti di sinistra, le più agguerrite nel pretendere che il governo-Prodi rispetti le sue promesse di smantellare le leggi sulla giustizia varate dalla Casa delle libertà?
Classe 1953, in magistratura dal 1979, membro del Csm dal 1994 al 1998, dall’anno successivo vicepresidente e segretario dell'Anm, e poi segretario di Magistratura democratica fino alla primavera 2005, quando ha lasciato il posto a Juan Patrone, Castelli è proprio colui che l’ex Guardasigilli della Lega non avrebbe mai voluto vedere al piano nobile del ministero della Giustizia.
E Mastella l’ha chiamato al suo fianco. Una mossa che non può non piacere, e molto, alla magistratura militante. Quando si accede a ruoli istituzionali così in vista, però, c’è sempre qualcuno che tira fuori gli scheletri dall’armadio. Non il suo esattamente, ma quello familiare. Perchè il fratello Franco è stato tra i condannati per uno degli omicidi più efferati degli anni Settanta, quello di un giovane di destra: Sergio Ramelli.
Dal passato riemerge una vicenda di sangue emblematica anche del clima di violenza di quel periodo. Aveva 18 anni Ramelli, quando fu aggredito sotto casa a Milano il 13 marzo 1975, da un gruppo di militanti di Avanguardia operaia, armati di spranghe e chiavi inglesi. Morì in ospedale il 29 aprile. I suoi aggressori neppure lo conoscevano, per loro era solo«un fascio da stendere». I responsabili, si accertò, erano 11 studenti universitari dell’estrema sinistra, del cosiddetto «servizio d’ordine» di Medicina. Furono catturati a 10 anni dell’omicidio, indicati da pentiti di Prima linea. E fra di essi c’era Franco Castelli, fratello di Claudio.

Il 2 marzo del 1989 la Corte d’assise d’appello li dichiarò colpevoli di omicidio volontario, ma con tutte le attenuanti la pena maggiore fu di 11 anni e 4 mesi. Solo due tornarono in carcere: Franco Castelli e gli altri evitarono la galera.

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