"L'editore scommette su autori e idee. Ma ci vuole tempo"

"L'editore scommette su autori e idee. Ma ci vuole tempo"

Il Premio De Sanctis per la letteratura quest'anno è dedicato all'editoria. Vincono la XII edizione: Alfonso Berardinelli per la saggistica ( autore di Un secolo dentro l'altro, il Saggiatore); premio speciale della giuria a Ernesto Ferrero; premio della narrativa a
Antonio Franchini (autore di Leggere Possedere Vendere Bruciare, Marsilio); a Francesca Mannocchi per il giornalismo; premio per l'editoria a Elisabetta Sgarbi, editore La Nave di Teseo. La cerimonia di premiazione si terrà venerdì 19 maggio alle ore 17,00 nella sede di Villa Doria Pamphilj a Roma, residenza istituzionale della Presidenza del Consiglio, alla presenza del Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Franchini, Sgarbi e Berardinelli intervengono oggi sulle nostre pagine.

Lei ha fondato e dirige la casa editrice Nave di Teseo. Qual è oggi il ruolo dell'editoria?

«L'editore seleziona e quanto propone è frutto di una selezione, più o meno accurata, più o meno personale. È un ruolo importante nel momento in cui tutto è disponibile e raggiungibile, a portata di clic direi. Ed è un ponte, tra culture e mondi tra loro distanti, anche quando essi sono in conflitto: ho continuato a pubblicare autori russi, oltre che ucraini, ad esempio. E così hanno fatto molti editori».

Che cosa rappresenta un editore per il sistema culturale?

«L'editoria è la prima industria culturale del paese. Eppure è un mestiere che rimane avvolto nell'ombra, ignoto nei suoi dispositivi. È molto raro incontrare qualcuno che, al di fuori del nostro mondo, ne conosca i meccanismi profondi. In questo risiede anche il suo fascino. Ma forse questa lacuna, almeno nel mondo politico che conta, andrebbe un poco colmata».

Che tipo di responsabilità ha quindi l'editore contemporaneo e come è cambiata?

«Ha una responsabilità sia culturale che economica, ammesso che si debbano distinguere e io credo di sì. Economica, perché una casa editrice in salute produce un indotto economico, piccolo o grande che sia, intorno al proprio lavoro: redattori, librai, autori, agenti, traduttori, distributori, promotori, giornali, broker pubblicitari. E ha una responsabilità culturale, sempre: introduce contenuti nuovi che iniziano a circolare nelle vene della società. A volte sono contenuti straordinari, capolavori per le generazioni a venire, a volte, più spesso, sono granelli di sabbia che non si sa che fine faranno. Non lo si sa mai con certezza prima. Ogni libro è una scommessa e una promessa. Ci sono libri che hanno cambiato il mondo: per meriti dell'autore, certo, ma anche un po' dell'editore, che nel frattempo è caduto nell'oblio».

Quale è oggi la maggiore difficoltà o barriera per essere un buon editore?

«Il tempo. Un editore deve poter avere tempo per esprimere il valore delle sue scelte. Uno scrittore ci mette del tempo, libro dopo libro, ad esprimere le sue potenzialità. Sia l'editore che l'autore devono darsi tempo. Ma oggi tutto questo è diventato più difficile: le librerie concedono meno tempo ai libri, sono subito disponibili i dati di vendita, la istantaneità della comunicazione impone pareri e riscontri altrettanto rapidi. Il vecchio adagio di Manuzio aveva una profonda verità: Festina lente, affrettati lentamente. La lentezza, nella buona editoria, convive con una certa rapacità e voracità, credo».

Chi è stato il suo maestro nel mestiere di editore?

«Mario Andreose mi ha fatto fare il salto, dallo studio Tesi dove lavoravo con Pierpaolo Benedetto. Andreose mi ha fatto conoscere una dimensione editoriale internazionale e dentro una grande struttura. Mi ha insegnato il rigore e la serietà nel trattare con gli autori, l'orgoglio di difendere le proprie scelte, la capacità di rischiare. L'importanza del catalogo.Non posso dimenticare Roberto Calasso.

Da piccola, appena entrata nell'editoria, cercavo di assistere alle sue riunioni con la rete di vendita: presentava i libri agli agenti in modo seduttivo. Mi confessò una volta che anche per lui, come per me, quelle erano le riunioni più temute, nonostante apparisse così sicuro di sé».

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