Umanitarismo, quanti delitti si commettono in tuo nome. Peggio: quanti errori. Guardate il caso della Libia di Gheddafi, ora al centro di una tempesta diplomatica e militare con l’Italia in prima linea. Una fredda e razionale analisi politica suggeriva da subito un’alternativa secca: la minaccia di un intervento rapido e risolutivo per abbattere il raìs, con il dispiegamento della forza militare, oppure l’esplicita dichiarazione di astensione da ogni interferenza.
Nel primo caso sarebbe stato drammaticamente indebolito Gheddafi, che poteva cadere dall’interno. Nel secondo, si sarebbe impedito che la rivolta nutrisse leillusioni che hanno portato alla presa di Bengasi. Invece si è deciso di intervenire male e tardi, a guerra civile dispiegata. E di intervenire con molti caveat o condizioni, che rendono problematica l’efficacia dell’azione. Niente truppe di terra, una no fly zone di cui è difficile definire gli obiettivi, l’obiettivo limitato della protezione dei civili dall’avanzata della controffensiva di Tripoli contro la ribellione della Cirenaica.
Con il “guerrafondaio” Bush, a un mese dall’11 settembre il regime talebano protettore di Osama Bin Laden non esisteva più, e il capo del terrorismo internazionale aveva trovato rifugio in una caverna da cui dieci anni dopo non è ancora uscito.
Con Obama, “l’umanitario”, a quasi tre mesi dall’inizio dei sommovimenti in Medio Oriente, con la rivolta del pane in Tunisia ( 8 gennaio),l’Occidente brancola nel buio e si imbarca in un’impresa legittimata dalle circostanze ma politicamente dubbia, senza prospettive certe, piena di ambiguità.
L’umanitarismo non è solo una edificante visione del mondo, è una maschera ideologica. Costringe all’inazione, mette i governi in mano a un’idea equivoca di ciò che vuole davvero l’opinione pubblica, dilata i tempi delle decisioni cruciali e li affida alla ambigua rete di consenso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, un organismo fondato sul diritto di veto dei suoi membri permanenti.
La politica realista è nella storia l’unico motore di pacificazione, ed è fondata sulla conciliazione e convergenza di interessi nazionali o globali incarnati dall’iniziativa di stati e coalizioni alleate che sanno quello che fanno, che sanno fare fino in fondo quello che fanno, e che agiscono per scopi responsabili, con un uso proporzionato della forza.
Nel 1991 una vasta coalizione occidentale e araba, con Bush padre e Colin Powell, scacciò Saddam Hussein dal Kuwait, che il dittatore di Bagdad aveva invaso, e lo condannò alla prigionia in casa sua fino alla cacciata del 2003. Nel 1995 f u il bombardamento della Nato contro i serbi che martoriavano Sarajevo a rendere possibili gli accordi di Dayton e la fine delle sanguinose guerre balcaniche. La guerra del Kosovo del 1999 portò, senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite, alla fine del regno nazional-comunista di Slobodan Milosevic, fattore di tragica destabilizzazione del sud est europeo.
L’attendismo umanitario non ha mai prodotto niente d i buono: basti pensare a l Darfur o, prima, al Ruanda, due luoghi di sterminio che hanno dovuto fare amaramente i conti con le chiacchiere lacrimevoli e umanitarie dello star-system e la riluttanza della comunità internazionale ad assumere su di sé il peso dei propri interessi regionali e globali.
Le guerre di stabilizzazione contro gli Stati falliti o gli Stati canaglia portano lutti, esigono tempra e sangue freddo, ma le vittorie portano stabilità e pace, e proteggono i diritti umani conculcati dalla furia della storia. Il nulla compassionevole, risvolto moraleggiante di uno spudorato cinismo sentimentale, è invece il risultato dei discorsi alati, delle mani tese, delle grandi sfilate arcobaleno, delle infinite prove di debolezza verso i prepotenti di cui è autore l’umanitarismo. Le truppe olandesi inquadrate nell’Onu e impacciate dalla sua ideologia pacifista e umanitaria, nel luglio del 1995 si astennero dall’intervenire a tempo, e assistettero inerti a uno dei più atroci massacri della storia europea, lo scannamento di migliaia di musulmani di Bosnia da parte delle truppe serbo-bosniache.
Se questo è vero, adesso per l’Italia di govern o e d i opposizione è il momento d i partecipare impegnativamente all’impresa europea e americana decisa con un grottesco ritardo, ma con grande attenzione agli interessi italiani coinvolti nell’operazione: specialmente interessi di sicurezza militare ed energetica, e di protezione dei confini da incontrollate ondate migratorie. Senza mai dimenticare, nonostante le pittoresche deformazioni del sistema dei media e il bailamme fazioso in cui il Paese è immerso, che con gli accordi del 2008, stipulati con il colonnello Gheddafi titolare d i u n legittimo potere a Tripoli, abbiamo doverosamente chiuso un doloroso e secolare contenzioso coloniale.
Le effervescenze di Sarkozy, che come h a ricordato Sergio Roman o aveva fino a d ora sbagliato l a politica mediterranea e araba della Francia, possono e devono essere temperate d a una nostra capacità d i recupero e d i mediazione della pachidermica m a non incomprensibile riluttanza della Germania a d imbarcarsi per l a Cirenaica. E che l a Fortuna assista l e strategie militari di eserciti e Stati occidentali spesso pronti a cadere nella trappola ideologica dell’umanitarismo.
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