La legge anti-fumo non basta più

Dal 2005 sigarette vietate in bar e uffici. Fu una svolta, ma la guerra continua. Come dimostra il virus

La legge anti-fumo non basta più

Forse non tutti si ricordano, ma fino a quindici anni fa varcare la soglia di un locale pubblico equivaleva spesso a entrare in una nuvola di fumo e uscirne con abiti e capelli intrisi di odore di sigaretta. Senza poter scegliere. E così sui mezzi pubblici, negli uffici, nelle sale d'attesa degli ospedali, nei ristoranti. Poi è arrivata la legge che ha messo un freno al tabagismo e alle libertà dei fumatori. Una legge coraggiosa, che ha visto la luce dopo un parto complicato e che ha cambiato letteralmente la vita agli italiani. Girolamo Sirchia, che nel 2003 era ministro alla Salute e molto vicino a Silvio Berlusconi, riuscì in ciò in cui perfino il suo predecessore Umberto Veronesi aveva fallito, sommerso da una valanga di 110 emendamenti che affossarono il suo disegno di legge in Parlamento.

L'idea di una vita senza fumo non era certo diffusa come oggi. I sondaggi dicevano che l'85% degli interpellati era teoricamente favorevole ai divieti anti sigarette ma i Tg trasmettevano servizi in cui la gente confessava di non poter resistere senza fumare. Per di più le lobby del tabacco facevano circolare comunicati stampa e indagini che raccontavano di scenari catastrofici, di chiusure dei bar con possibili licenziamenti a catena, puntando il dito contro Sirchia e la sua proposta «illiberale».

Alla fine il ministro-medico riuscì nell'impresa e dal 10 gennaio del 2005 i divieti entrarono in vigore. Del resto la tenacia a Sirchia non mancava: era stato lui a opporsi anche alla sperimentazione della cura Di Bella, andando contro al sentir comune di tutta Italia, che in quel momento si era affidata con enorme slancio alla terapia anti cancro alternativa alla chemioterapia.

La legge anti fumo italiana fece da modello ad altri provvedimenti presi in Europa dove, in molti Paesi, non vennero concesse ai fumatori nemmeno le sale riservate nei locali.

Oggi, in piena emergenza coronavirus, il tema dei danni da fumo ai polmoni e i risultati di un provvedimento come la legge Sirchia diventano ancora più cruciali. «Nei fumatori il rischio di finire in terapia intensiva per coronavirus è più del doppio» mette in guardia la dirigente di ricerca dell'Istituto superiore di Sanità Roberta Pacifici. «È ormai dimostrato che il fumo di tabacco attivo e passivo nuoce gravemente la salute ed anche che favorisce le infezioni respiratorie» specifica l'esperta.

I RISULTATI

Ma a quindici anni dal provvedimento, quali sono stati i risultati? Le abitudini, certo, sono cambiate, molti sono riusciti a smettere e, secondo le statistiche, gli ex fumatori sono un milione. Tuttavia, l'andamento di chi ha smesso e poi ha ricominciato è stato piuttosto irregolare dal 2005 ad oggi. Nei primi anni il 22% dei fumatori ha smesso. Poi il trend sembra essersi arrestato: tanto che la proporzione di allora è la stessa del 2019.

Oggi i fumatori sono ancora moltissimi (11,6 milioni) il che evidenzia come gli effetti della legge antifumo si siano attenuati nel corso degli anni, dopo il minimo storico di 10,8 milioni di fumatori raggiunto nel 2012. Insomma, la strada da fare è ancora parecchia.

In un bilancio tracciato dal Ministero della Salute e dall'Istituto superiore di sanità risulta che dal 2004 al 2018 le vendite dei pacchetti di sigarette sono scese del 32%. Diminuita anche la quota dei giovanissimi che cominciano a fumare: la popolazione dei 14enni è scesa dal 24% al 19%. E la percezione del rispetto del divieto di fumo è pari al 91% per i locali pubblici, al 93% per uffici e luoghi di lavoro, con un buon miglioramento anche in Meridione, dove la legge ha impiegato un po' più tempo prima di attecchire.

IL MERCATO CHE CAMBIA

L'Iss sottolinea il peso delle alternative alla tradizionale sigaretta: le vendite di tabacco trinciato, ad esempio, si sono impennate del 500% dal debutto della legge antifumo, tanto che oggi il 18,3% dei fumatori consuma sigarette rollate manualmente, un dato che spiega in parte il calo delle bionde, delle quali nel 2018 sono state vendute 67.460 tonnellate, contro le 92.822 tonnellate del 2005.

Inoltre, prodotti come la sigaretta elettronica non sono risultati utili per diminuire la prevalenza dei fumatori, visto che chi utilizza l'e-cig (1,7% degli italiani) solitamente consuma anche le normali sigarette.

LE NUOVE DIRETTIVE UE

L'Italia ha recepito per prima, con cinque mesi di anticipo rispetto agli altri paesi, la direttiva europea sulla vendita di prodotti che contengono tabacco. Le nuove regole impongono paletti chiari per limitare il consumo di sigarette, senza poterne (ovviamente) vietare la vendita. Ad esempio, è obbligatorio che il 65% dello spazio sul retro del pacchetto sia occupato da messaggi che denunciano i danno della nicotina. È vietato in ogni modo rendere le sigarette più accattivanti, con aromi o additivi che facilitino l'assorbimento di nicotina.

La stessa direttiva fissa anche alcuni limiti alla vendita delle sigarette elettroniche, in attesa che dati scientifici ne documentino la dannosità o meno. Ad esempio non possono essere vendute ai minori di 18 anni. A questo proposito l'Italia ha fatto un ulteriore passo: ha inasprito le sanzioni per chi vende ai ragazzini e ha previsto un sistema di controlli regolari sui distributori automatici perché siano realmente in grado di verificare l'età di chi acquista grazie alla tessera sanitaria.

Tutti questi elementi dovrebbero aiutare l'Italia a raggiungere l'obbiettivo previsto dal Piano per la prevenzione della malattie croniche dell'Organizzazione mondiale della sanità. Cioè abbattere di un ulteriore 30% il numero dei fumatori entro il 2025.

SOS DONNE

L'associazione Airc e la

Fondazione Veronesi tengono alta l'attenzione sull'allarme fumo e si focalizzano soprattutto sull'aumento delle donne fumatrici, aumentate del 24% in un solo anno. «Siamo il fanalino di coda dell'Europa, sostengono i ricercatori».

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