Una legge ma senza papocchi

Che l’attuale legge elettorale, vituperata dal suo stesso autore, vada riformata, mi pare un’ovvietà. E che il sistema elettorale risultante dall’eventuale referendum sia una porcata ancora più grande, è un’altra ovvietà, che però non risulta così evidente. Dunque, al di là della difesa dello strumento referendario, non si può tacere che il sistema che uscirebbe dal referendum sarebbe una brutta copia della famigerata legge Acerbo del 1924: il primo partito, magari solo con il 25-30% dei voti, prenderebbe la maggioranza assoluta dei seggi, e le liste bloccate dai partiti impedirebbero agli elettori di scegliersi il loro candidato.
La questione cruciale della legge elettorale, tuttavia, inizia dopo avere constatato che il sistema attuale è una porcata, che quello prodotto dal referendum sarebbe una superporcata, e che è quindi necessario metter mano alla revisione. La scelta dei sistemi elettorali - si parla del «francese», del «tedesco» e dello «spagnolo»... - non è affatto una questione tecnica ma lo strumento di un'ipotesi politica. Oggi il dibattito è tronco perché non si discute apertamente di quale sistema politico-istituzionale si vuole. Tutti cercano di fare gli interessi della propria bottega partitica - cosa del tutto legittima - ma nessuno esplicita con semplicità il nesso tra il modello politico che desidera e il sistema elettorale che propone.
I principali dilemmi, da sciogliere prima della scelta del nuovo sistema elettorale, sono tre: a) si vuole rafforzare il bipolarismo fondato sull'alternanza, o lo si vuole distruggere? b) Si vuole che il governo e in particolare il capo dell'esecutivo sia scelto dagli elettori con il voto, oppure si vuole che il parlamento determini a suo piacimento le combinazioni governative? c) È prioritaria la rappresentatività che implica la proliferazione dei partiti, oppure si tende a rafforzare la governabilità fondata su pochi partiti?
Il sistema francese rafforza il bipolarismo con i partiti grandi e medi, e permette all'elettore di scegliere il suo candidato nei collegi uninominali. Il sistema tedesco indebolisce il bipolarismo, rafforza i partiti grandi e medi ed elimina i partiti che non raggiungono nazionalmente la soglia stabilita (in Germania del 5%): inoltre consente all'elettore di scegliere sia il singolo candidato uninominale, sia il partito con la lista bloccata per integrare la ripartizione proporzionale nazionale. Il sistema spagnolo, se fondato su piccole circoscrizioni, contiene un'implicita soglia di sbarramento che elimina i piccoli partiti, ma non garantisce la polarizzazione degli eletti quando, come nel caso italiano, i concorrenti su scala nazionale sono almeno 6 o 7 partiti. Alla valutazione dei modelli vigenti in altri Paesi europei, occorre però aggiungere che a casa nostra si tende generalmente ad imbastardire i sistemi elettorali, per così dire «puri» e a renderli «misti» per cui gli effetti politici «classici» si sfrangiano in sotto-effetti, generalmente funzionali ad accontentare esigenze diverse e contraddittorie.
È noto che in entrambe le coalizioni di centrodestra e centrosinistra convivono interessi, volontà politiche e obiettivi politico-istituzionali divaricati. Bipolaristi e centristi, presidenzialisti e parlamentaristi, partitisti e uninominalisti, proporzionalisti-rappresentativisti e maggioritari-governabilisti si intrecciano da una parte e dall'altra. È vero che sarebbe opportuno che le regole elettorali fossero condivise da gran parte delle forze politiche parlamentari, indipendentemente dalla collocazione nella maggioranza o nell'opposizione, ma a forza di compromessi tra gli opposti, i risultati non potrebbero che essere negativi per il funzionamento delle istituzioni.
Quel che più serve alla politica italiana è la chiarezza delle ipotesi, quindi una tecnica elettorale non pasticciata per conciliare l'inconciliabile. Giovanni Sartori ha enunciato la «regola dei nanetti» secondo cui se i partitini e i gruppetti sono accontentati, significa che la legge elettorale è insensata.

Ha ragione. Non c'è di peggio per i sistemi elettorali che l'ibridazione, l'assenza di scelte chiare e i papocchi tecnici. Questa è la vera sfida da risolvere presto e bene se si vuole uscire dalla palude.
m.teodori@mclink.it

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