50 anni senza Pablo Neruda: le 5 poesie più belle

Voce degli umili e dei perseguitati, Neruda ha scardinato la poesia elitaria e raffinata e vi ha messo la vita vera

50 anni senza Pablo Neruda: le 5 poesie più belle
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Una delle figure più importanti della letteratura latino-americana, attivo politicamente - con tanto di iscrizione al Partito Comunista dopo l’assassinio di Federico Garcia Lorca - perseguitato dal regime di González Videla e infine premiato con il Nobel per la letteratura. Pablo Neruda è stato uno dei grandi protagonisti del Novecento e ha tracciato un solco grazie alla sua capacità di scardinare la poesia elitaria e raffinata per mettervi dentro la vita vera, quotidiana. Opere umane e ideologiche, che ricavano bellezza dalle cose semplici. La voce degli umili, di pescatori e contadini, ma anche ferrovieri e minatori: Neruda ha lasciato il segno, a prescindere da tutto. A cinquant'anni dalla sua scomparsa, andiamo a riscoprire le sue cinque poesie più amate.

Ode al giorno felice

Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Qui ti amo

Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s’inseguono.
La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d’argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte stelle.
O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.
Qui ti amo e invano l’orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.
La mia vita s’affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei cosi distante.
La mia noia combatte con i lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.
Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.

Sonetto LXIV

E lì dalle tenebre mi sollevai al tuo petto,
senz'essere e senza sapere andai alla torre del frumento,
sorsi per vivere tra le tue mani,
mi sollevai dal mare alla tua gioia.

Il figlio

Così venisti al mondo.
Da tanti luoghi vieni,
dall'acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lungi cammini verso noi due,
dall'amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere come sei,
che ci dici,
perché tu sai di più del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta noi scuotemmo l'albero della vita
fino alle più occulte fibre delle radici
ed ora appari cantando nel fogliame,
sul più alto ramo che con te raggiungemmo.

Se saprai starmi vicino

Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.


Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
se sapremo darci l’un l’altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l’ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perchè insieme è gioia…
Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto.

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