Nel corso del XIX secolo, uomini di lettere e giornalisti si affrontarono con la pistola in pugno o con la spada in mano. La pressione sociale giocò un ruolo essenziale in quello che bisogna davvero chiamare una moda. Guai infatti a chi, non nominando i padrini, rifiutava pertanto di battersi e riceveva di conseguenza il disonorante «verbale di rifiuto di sfida» che l’escludeva, in certo qual modo, dalla «buona» società. Il duello divenne dunque una sorta di «dovere sociale» nelle «classi istruite», una sorta di investitura che: «[...] prende la forma di un rito di virilità, di un passaggio necessario per chi vuole rivendicare lo stato d’uomo compiuto, ma anche di un sistema di socializzazione all’interno dei gruppi di giovani». (Guillet, 2006) Tutto questo fece dire a Stendhal: «Ma il duello è solo una cerimonia. Si sa tutto in anticipo, anche ciò che bisogna dire cadendo a terra». (Stendhal, Il Rosso e il Nero)
Una «cerimonia» forse, ma nel corso della quale si rischiava la vita o una grave ferita... Il severo giudizio di Stendhal non è quello di Jean-Noël Jeanneney che scrive che, in definitiva, se pittori, scultori e scrittori hanno in larga misura partecipato alla «moda» del duello, era perché questo si opponeva al regno del denaro e alla civiltà materialista che, a poco a poco, stava sostituendo la visione aristocratica del mondo. In ogni caso, di fronte a questa nuova «duellomania», come ai tempi di Richelieu, lo Stato tenterà di controllare, se non di vietare, questi combattimenti, tollerati e persino incoraggiati dalla società civile. Dal punto di vista giudiziario, poiché il Codice penale del 1810 non affrontava la questione in modo chiaro, i giudici si rimisero alla giurisprudenza della Corte di cassazione, che prevedeva la pena per omicidio in caso di morte di uno dei duellanti, quella per tentato omicidio quando era stato deciso il duello «all’ultimo sangue» e, per tutti gli altri casi, una pena per percosse e lesioni volontarie. Tuttavia, la giustizia si mostrò molto spesso clemente, am- mettendo implicitamente che il duello era il risultato di un accordo privato, concluso tra due parti che avevano deciso di battersi. Come scrive François Guillet (2006), la giustizia validò così, giuridicamente, ma anche moralmente, il codice d’onore, poiché questa interpretazione trionfò fino agli anni ‘60 dell’Ottocento, presso i giudici, e fino alla fine del secolo fra i giurati di corte d’assise e nella pubblica opinione.
Del resto, tra il 1819 e il 1920, furono ben sedici i progetti di legge e una trentina i dibattiti parlamentari dedicati al duello, ma non si approvò alcuna disposizione che lo vietasse. Tornando al tema di questo capitolo, è chiaro che dopo La Chanson de Roland, il duello non ha smesso di alimentare i generi letterari ed artistici. Balzac, Barbey d’Aurevilly, Collins, Conrad, Dumas, Dostoevskij, Gautier, Flaubert, Jules Verne, Maupassant, Musset, Stendhal, Tolstoj e molti altri autori hanno posto il duello al centro di numerose opere romanzesche. Ci limiteremo qui ad alcuni letterati francesi, dal momento che lo scopo di questo testo non è quello di realizzare un’antologia sul duello.
Attraverso Don César de Bazan, nel Ruy Blas di Victor Hugo, grazie a Cirano di Edmond Rostand o ancora mediante i moschettieri di Alexandre Dumas, il mondo letterario ha partecipato all’infatuazione che l’epoca consacrava agli spadaccini, divenuti, per merito della penna, dei personaggi dalla leggendaria popolarità. Il duello è stato copiosamente nutrito dal romanticismo, cullato da sogni nostalgici alimentati dalla sopravvivenza eroica e cavalleresca di un Medioevo, tanto fantasticato quanto artificialmente ricostruito, soprattutto attraverso i romanzi di Walter Scott.
Senza pretendere dunque la completezza, semplici reminiscenze letterarie fanno subito pensare a Maupassant e al suo racconto «Un duello», di cui si è parlato nel capitolo precedente, ma anche a «Un vigliacco», quando il visconte di Signoles si suicida prima del duello... Senza dimenticare naturalmente Bel Ami, il cui protagonista è Georges Duroy. Il 28 giugno 1880, sui boulevard parigini, egli incontra Charles Forestier, un ex compagno d’armi degli Ussari, curatore d’una rubrica a La Vie française, che lo assume. Colpito da tubercolosi, Charles lascia poco a poco il suo posto a Georges, che viene attaccato da un certo Langremont, del giornale La Plume, che lo accusa di sfruttamento della prostituzione e lo chiama bugiardo. Georges non può farsi indietro e deve battersi in duello, ma, alla vigilia dello scontro, dorme poco e male per la paura di morire.
Il giorno dopo, si reca al Vesinet, sul luogo del combattimento, con un padrino e un medico: «[...] «Fuoco!». Non ascoltò altro, non si rese conto di nulla, sentì soltanto che stava alzando il braccio e che premeva il grilletto con quanta forza aveva. E non udì nulla. [...] Avevano sparato entrambi. Era finita».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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