È un bellissimo viaggio pieno di emozioni quello compiuto da Gianmarco Parodi nel suo libro: Nella città invisibile, viaggio immaginario nei luoghi calviniani (Piemme), che prende il lettore per mano e lo conduce nei meravigliosi posti che hanno ispirato lo scrittore Italo Calvino. Dal molo del porto pieno di relitti da esplorare alla pasticceria sotto casa scelta per compiere una golosa rapina, dalla vecchia casbah arroccata dove crescono alberi dai rami comunicanti al buio sentiero pieno di ragni dove nascondere una pistola rubata. In ognuno di questi luoghi c'è Sanremo, anche se, come spiega Parodi nella nostra intervista, in nessun libro viene mai esplicitato. Vincitore dei Premi Nabokov, Sarzana e il Premio Giovane Holden per il suo precedente lavoro: Non tutti gli alberi (Piemme), questo è il suo primo lavoro, in cui dice: "Mi sono allontanato da casa", quella Liguria che lega con radici profonde i suoi nativi, e che è riuscita a stregare anche Calvino, che il 15 ottobre avrebbe compiuto 100 anni.
Perché ha deciso di compiere questo viaggio nella “Città Invisibile”?
"Non ho mai deciso di scrivere un libro, in realtà. Nemmeno il primo. Ogni volta, come anche in questo caso, l’idea si è presentata chiara senza accorgermi che la stavo già realizzando. Ho solo assecondato -stavolta con un molto più timore perché non si tratta di narrativa, e non parlavo di me- un desiderio che forse già avevo, ma che non mi ero mai confessato. Quello di chiedermi se, anche per un grande autore come Calvino, le sue idee fossero nate soprattutto dai primi anni quelli dei luoghi della gioventù. Lui si è portato Sanremo in ogni libro, lo confessa spesso, benché non ci sia una pagina di narrativa in cui lo chiama col suo nome. Noi liguri siamo un po’ tormenti da questa nostalgia, la chiamiamo "liguritudine" che proviamo per i nostri luoghi natali. Anche vivendoci, anzi, soprattutto vivendoci. A volte ci inchioda a questa terra, ci limita nel viaggio alla scoperta del mondo, a volte ci contraddistingue per sguardo e colori. Calvino ha esplorato molto, non ha mai scritto un libro uguale all’altro. Questo è il primo che io scrivo lontano da questi luoghi, da casa".
Camminando con lei nelle pagine del suo libro cosa si incontra?
"Come dico nell’introduzione, quello che mi ha sempre affascinato nel leggere Calvino è ritrovare una certa familiarità con i luoghi che io stesso ho vissuto e vivo. Immaginare come la scintilla che ha dato vita a un classico possa avere per me un corrispettivo domestico. Perché proprio lì e non altrove? Mi chiedo. L’effetto è che un’anonima piazza, un albero qualsiasi, diventano magicamente 'quella piazza o quell’albero'. Inequivocabili per chi legge, avvolti dal mistero della scelta per chi li ha scritti".
Ha ripercorso i luoghi reali e immaginari visitati o vissuti da Calvino, cosa ha scoperto di questo scrittore che non immaginava?
"Chi lo ama, chi lo detesta e chi non lo hai mai letto. Posso dire di non averlo mai conosciuto davvero finché non ho associato le sue paure ai suoi luoghi. Ripercorrere le sue origini di ragazzo, non di scrittore, le scorribande, le ansie, le rivalità e i dubbi, mi ha fatto comprendere quanto un luogo ti dia una forma, un imprinting diciamo, che abbracci e odi per tutta la vita. Inoltre mi ha fatto capire che non per forza - questo il Calvino scrittore - se sei nato nella stessa terra hai una visione comune. E questa è una cosa splendida. La mia città, visibile e invisibile come tutte le città, è un libro. Chiunque lo legga lo trova diverso".
È un insegnante di tecniche di narrazione, quale tipo ha scelto per raccontare in maniera così inedita Calvino?
"Quello che mi viene più naturale è immaginare di essere davvero, con tutti i sensi, in quello che scrivo. Mi avvantaggia conoscere ed essere stato in questi luoghi, averli vissuti. Non tutti possono recarsi qui, ma la scrittura ha il potere di portarci ovunque. Mi piace pensare a questo libro come una giornata passata a passeggiare assieme, nella Sanremo di Calvino. Un bell’invito".
Lei conduce trekking letterari e passeggiate narrative, come si svolgono?
"Io credo che la scrittura non si nutra di solitudine. Anzi, la solitudine è spesso deleteria e isola dal confronto. Questi punti di incontro sono esperienze che mi piace proporre spesso, quella del trekking letterario nasce di nuovo dall’amore per un luogo, non sempre accessibile. Un luogo che ho a cuore e che credo possa essere momento di esperienza per tutti, diversa per ognuno. Credo anche che scrivere parta soprattutto dalle gambe, dal movimento. Come quest’ultimo libro: prima è vagabondaggio, nelle pagine di calvino e nei luoghi, e poi si fa libro. Le passeggiate letterarie in associazione con le guide locali sono molto divertenti, io le coloro con aneddoti e letture, a volte propongo qualche esercizio di scrittura. Alla fine scrivere è digerire delle esperienze vissute, ognuno si porta a casa il suo pezzetto".
Sulla copertina del suo libro c’è una storia incredibile, la può raccontare?
"Il disegnatore che Piemme ha contattato per la copertina è Piero Macola, un grande artista che non conoscevo. Ci siamo trovati a imbatterci uno nell’altro per puro caso in una libreria di Parigi, ripeto per puro caso. Io presentavo un corso di scrittura in francese, lui è stato portato da un suo amico, che io ho invitato senza conoscerlo, perché mi era stato dato il suo contatto da una persona che a mia volta avevo incontrato per caso durante un gruppo di lettura in una biblioteca qualsiasi di quartiere. Né io né lui sapevamo chi fossimo, insomma. Gli ho mostrato la copertina che era ancora top secret e lui mi ha guardato dicendomi: "Ma è la mia! L’ho fatta io!". Non crediamo ancora adesso a questa casualità. Eppure non è la sola nel percorso in cui mi ha portato questo libro".
I suoi “studenti”, sono concordi nella sua bravura come insegnante, ma anche nel suo portare avanti la dimensione del “viaggio letterario" che quasi tutti hanno citato e che si ritrova anche in quello fatto con il libro su Calvino. Che rappresenta per lei il viaggio e come si lega alle sue narrazioni?
"Se lo dicono i miei studenti, saranno certo di parte! Ma oltre lo scherzo, quello che ho sempre preferito, a discapito della sicurezza della riuscita, è il rischio del percorso fatto di pancia. Non potrei mai realizzare un libro, un romanzo o altro, a tavolino, una parte di rischio, come dicevo sopra, se non la provo, non riesco. Ho montagne di libri incompiuti sui miei quaderni e sul mio computer. Sì, la percentuale di fallimento è altissima, ma questo mi ha insegnato che se una cosa vede la luce vale la pena raccontarla, in primis per me. In realtà i libri che prendono luce vivono grazie a tutti i tentativi falliti, ognuno dei quali ha insegnato qualcosa.
Ai miei ragazzi e ragazze dico questo: 'per prima cosa scrivere un libro deve essere necessario per te, un viaggio che aggiunga qualcosa al tuo percorso, al tuo essere. Altrimenti figurati se potrà esserlo per uno sconosciuto che un domani ti leggerà'".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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