Giovanni Verga, scoperto l'inedito "Frine", il suo romanzo giovanile

Riportato alla luce "Frine", un'inedito romanzo giovanile di Giovanni Verga, grazie alle ricerche e agli studi di Lucia Bertolini professore ordinario di Filologia della Letteratura italiana all'Università eCampus

Giovanni Verga, scoperto l'inedito "Frine", il suo romanzo giovanile

È stato ora dato alle stampe, grazie alle ricerche e agli studi di Lucia Bertolini, professore ordinario di Filologia della Letteratura italiana nell'Università eCampus, Frine, un inedito romanzo giovanile dello scrittore Giovanni Verga. La studiosa ha pubblicato il testo e ne ha illustrato la storia nel quarto volume dell'Edizione nazionale delle opere di Giovanni Verga, pubblicato da Interlinea. Il volume comprende anche l'edizione del successivo e molto conosciuto romanzo Eva.

Rimasto inedito fino a oggi, l'unico manoscritto esistente faceva parte del materiale sequestrato nel 2013 a seguito della controversa vicenda delle "Carte Verghiane", a tutt'oggi non consultabile direttamente, ma conservato in una buona copia microfilmata presso il Fondo Mondadori, dal quale la professoressa Bertolini lo ha trascritto per l'edizione critica.

Il mistero delle "Carte Verghiane"

Per comprendere il valore della scoperta, è importante soffermarsi e spiegare l'intricata vicenda della "Carte Verghiane" che ha coinvolto per anni aule di tribunale e comincia nel 1889, quando il giovane e sconosciuto compositore Pietro Mascagni, si iscrive al concorso indetto dalla casa editrice milanese Sonzogno per la scrittura di un’opera in un singolo atto. La scelta del soggetto La Cavalleria Rusticana, ricade sull’omonima novella verghiana edita nel 1880: "Strettamente aderente all’azione del Verga, aggiungendovi semplicemente qualche brano lirico per vestire la nudità della tragica vicenda", racconterà Mascagni.

"L’azione” a cui si riferisce il compositore è il dramma che lo stesso Verga aveva ricavato dall’adattamento teatrale della novella, trionfante nei teatri a partire dal 1884, che aveva catturato l’attenzione di Mascagni in una rappresentazione meneghina al teatro Manzoni. Le strade tra il compositore e lo scrittore, si incontrano solo per via epistolare quando nel 1890, Mascagni dopo aver vinto il concorso, si mette in contatto con Verga per chiedergli il permesso di rappresentare nei teatri la sua opera riconoscendogli il diritto di imporre i patti che avrebbe ritenuto “utili o necessari”.

Verga accetta senza badare troppo allo sconosciuto compositore, che lo ringrazia, ma il futuro de La Cavalleria Rusticana si rivela un enorma successo in tutta Europa. Al culmine del trionfo, Verga chiede la paternità dell'opera a Mascagni tramite il Tribunale di Milano anche per definire, al contrario del primo frettoloso sì, con grande precisione e formalità, quali e, soprattutto quanti, sarebbero stati i suoi “utili o necessari” accennati in precedenza da Mascagni.

Il processo si è trascinato per molti anni nelle aule del Palazzo di Giustizia prima di trovare l’intesa finale. Nel 1891 il tribunale impone a Mascagni e al suo editore Edoardo Sonzogno il versamento del 50% degli utili netti, ricavati e futuri del successo della Cavalleria. Ma è solo nel 1893 che si trova l’intesa finale mediante un accordo transattivo che ha riconosciuto la somma di lire 143.000, pari ad oltre 500.000 euro attuali, allo scrittore siciliano, ancora insoddisfatto della decisione iniziale del tribunale. Ma la vicenda non finisce qui.

Il sequesto dei carabinieri

Nel 2013 i carabinieri del Reparto operativo Tutela Patrimonio Culturale avevano sequestrato a Roma e Pavia una considerevole "fetta" del patrimonio letterario dello scrittore siciliano. Si trattava di 36 manoscritti tra romanzi e novelle, migliaia di riproduzioni fotografiche di lettere, oltre a centinaia di lettere autografe, bozze, disegni e appunti, il cui valore è stimato intorno ai 4 milioni di euro. Questi documenti erano stati consegnati da Giovannino Verga Patriarca, nipote dello scrittore, a uno studioso di Barcellona Pozzo di Gotto, per farne un stima, senza che questo li restituisse mai al legittimo proprietario. Lo stesso Giovannino Verga e successivamente suo figlio Pietro avevano cercato in ogni modo di rientrare in possesso dei documenti per vie legali, supportati anche da diverse interrogazioni parlamentari andate avanti dal 1957 al 1977.

Nel 1975 Pietro Verga ottenne dal Tribunale di Catania una sentenza che sanciva a suo carico il possesso legale di tutti i manoscritti, compresi quelli non ancora inventariati a causa del rifiuto dello studioso messinese. Tre anni dopo, ancora prima di entrarne in possesso, l'erede aveva venduto al Comune di Catania l'intero corpo delle Carte Verghiane, acquistate tramite la Regione siciliana per 89 milioni di lire. Il fondo però non ne entrò mai in possesso. Da allora, il Comune di Catania e gli eredi di Verga hanno cercato di ottenere la restituzione dei beni dalla figlia dello studioso, nel frattempo deceduto.

La vicenda è arrivata a una svolta quando la Soprintendenza ai Beni Librari della Regione Lombardia, ha individuato un elenco di Carte Verghiane messe in vendita presso una casa d'aste, proprio della figlia dello studioso. Ora i documenti si trovano in un deposito presso il Centro di ricerca del Fondo manoscritti dell'Università di Pavia.

La storia di Frine

Verga, iniziò a scriverlo dopo il suo breve soggiorno fiorentino nella primavera del 1865, all'epoca aveva solo 25 anni, ma continuò a lavorarci per lungo tempo sottoponendolo anche all'attenzione di alcuni amici, i cui suggerimenti sono ancora appuntati tra le carte del manoscritto. Fu terminato nel 1869 quando Verga lo propose all'editore Emilio Treves che però si rifiutò di pubblicarlo, decretando la sua fine dentro un cassetto dello scrittore. Almeno fino ad ora.

Il titolo originario di Frine - che alludeva all'amante di Prassitele - nel 1869 aveva preso il nuovo nome di Eva (lo stesso del più noto romanzo riscritto nel 1873), il che aveva creato parecchie confusioni nella bibliografia passata. Per questo nell’introduzione del volume uscito aora per Interlinea, Lucia Bertolini ha spesso adottato l'etichetta di Frine-Eva per indicare l'inedito in quelle fasi della storia nelle quali per certo il titolo era ormai stato cambiato. Ci sono in effetti molti punti in comune tra i due romanzi; dall'ambientazione fiorentina, fino al protagonista, in entrambi gli scritti un pittore catanese.

La trama

Luigi Deforti, un giovane pittore di provincia catanese, conosce a Firenze la cortigiana Eva Manili che ostenta doti di pittrice dilettante e che man mano rivela le sue vere caratteristiche di cinismo e interesse.

Il giovane, innamorato della donna, abbandona i suoi ideali artistici e per rivalità con il conte di Fontanarossa, diventa prima baro poi spadaccino. Tornerà in Sicilia malato e deluso, ma in verità non ancora effettivamente 'sanato' dall'illusione che arte e amore possano non entrare in contraddizione.

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