
E ora chi lo dice alle toghe rosse? La lista Ue dei «Paesi sicuri dove è possibile rimpatriare (con procedura accelerata) i migranti salvati nel Mediterraneo dalle nostre navi militari combacia quasi del tutto con quella stilata dal governo del Decreto flussi. Sconfessate clamorosamente le sentenze della giurisprudenza creativa che hanno vanificato il piano anti clandestini del governo. Ci sono anche Egitto e Bangladesh, i due Paesi che secondo le sentenze «fotocopia» di Corti d'Appello e sezioni Immigrazione non sono abbastanza «sicuri» da rimandare indietro dei richiedenti asilo che non hanno diritto al permesso di soggiorno, così da sabotare il Protocollo Albania e l'accordo con Tirana per i rimpatri accelerati su cui la Commissione europea vuole costruire il nuovo Piano asilo e migrazione che entrerà in vigore nel 2026. Nella lista con i sette Paesi, distribuita agli Stati membri nelle prossime ore, c'è anche la Tunisia, il Marocco, la Colombia, l'India e il Kosovo.
«Sarebbe un vero e proprio cortocircuito per le sinistre e le toghe politicizzate impegnate in questi mesi a smantellare le politiche migratorie del governo facendosi scudo con il diritto europeo. Contesteranno anche la lista dell'Ue per non convalidare i trattenimenti dei migranti in Albania?», si chiede la responsabile Immigrazione Fdi Sara Kelany. Nei mesi scorsi il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l'aveva promesso: «Entro giugno faremo una lista comune di Paesi con i quali applicare la nuova direttiva sui rimpatri varata a marzo dalla Commissione europea». Il concetto di «Paese d'origine sicuro» varrà per tutti e 27 i Paesi membri e darà linee guida uniformi per sostenere soluzioni «innovative». L'obiettivo è provare a replicare il modello Italia-Albania degli hotspot extra Ue dove gestire le domande d'asilo e i rimpatri di chi non ha diritto (ci sarebbero interlocuzioni in corso tra alcuni Paesi dei Balcani come Bosnia e Montenegro del Nord), ma anche dei return hubs fuori dall'Europa a 27 dove realizzare dei Cpr per allontanare definitivamente dal territorio europeo i clandestini su cui pende un decreto d'espulsione. Più o meno quello che l'Italia sta cercando di fare proprio a Shengjin e Gjader, i due hotspot in Albania.
Prima dell'estate, già a inizio giugno, è attesa anche la sentenza della Corte di giustizia Ue sui ricorsi presentati da alcuni tribunali italiani e da diversi migranti soccorsi nel Mediterraneo dalle nostre navi militari e trasferiti nei centri in Albania. Grazie a un'interpretazione un po' estensiva di una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre scorso, la parte della magistratura più ideologica ha contestato l'elenco dei Paesi considerati sicuri dall'Italia - esattamente Egitto e Bangladesh - sostenendo che non fossero sufficientemente sicuri per consentire l'espulsione di chi non ha diritto a restare dopo un esame accelerato.
Una tesi smentita anche dalle conclusioni depositate la scorsa settimana dall'avvocato generale della Corte Ue Richard de la Tour, secondo cui i governi hanno il diritto di designare un Paese terzo «sicuro» tramite decreto e definirlo tale anche se la sicurezza non riguarda l'intero territorio.
Resta però immutato il diritto dei giudici nazionali di verificare la legittimità della designazione, purché avvenga dopo un'istruttoria documentata, non certo con sentenze erga omnes non calate sulla realtà del singolo richiedente asilo.
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