Un'indagine iniziata per gioco. Un amore estivo messo a rischio dal sospetto. Una scelta personale che cambierà il destino di molti, sono questi gli ingredienti del primo romanzo di Mario Mattia, L'ultima ombra d'estate (Piemme), un giallo ambientato nella Sicilia degli anni '70, che è anche un intenso romanzo di formazione. Mattia, di professione geofisico presso l’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, è una vera scoperta. Tra le pagine, a cui si rimane saldamenti attaccati, scorrono, proprio come se si trattasse di un film, immagini di un'isola di cui si può sentire il calore del sole sulla pelle e i profumi, con personaggi che sembrano usciti dalla sceneggiatura di un film. Un giallo, dai toni a volte cupi, che passa dal mondo della borghesia estrema, ingessata nelle idee, soprattutto quelle da nascondere, alla ribellione delle manifestazioni politiche degli anni ’70, in cui irrompe improvvisamente l'amore. Qualcosa di inaspettato da parte di chi si interessa ai "tumulti della terra" e non a quelli dell'anima, che però non sono così distanti, come racconta l'autore nella nostra intervista.
Com'è che un geofisico si è appassionato alla scrittura di un romanzo?
"Fare ricerca ha un aspetto fortemente creativo, non troppo diverso da quello che caratterizza il lavoro di un pittore, di un musicista o di uno scrittore. Inoltre, studiare eventi drammatici come terremoti ed eruzioni vulcaniche ti mette inevitabilmente a contatto con chi questi eventi li subisce, ovvero le persone. Una decina di anni fa iniziai a studiare il terremoto del 1968 che distrusse una zona della Sicilia nota come Valle del Belìce. Fu allora che, grazie all’ascolto delle tante incredibili storie di chi quel terremoto l’aveva vissuto sulla propria pelle, mi interessai anche al processo successivo, ovvero alla scrittura ed alla narrazione".
Nel romanzo una delle cose che colpisce, e sono molte, è il racconto vivido del protagonista, sia dell’ambito familiare che delle sue esperienze personali. In quale di queste, o di entrambe, c'è stata la sua esperienza personale?
"Credo che sia un bellissimo complimento, per chi scrive, sentir dire che si è riuscito a ricreare negli occhi di un lettore una immagine chiara. La risposta è sì, ho cercato di trasformare in parole le sensazioni e le emozioni di giornate passate sulle spiagge siciliane o la confusione e la rabbia delle manifestazioni politiche degli anni ’70. Entrambe fanno parte del mio bagaglio di ricordi e sono parte di un “palcoscenico” ideale nel quale ho inserito i personaggi del romanzo e le loro storie".
Dalla sua scrittura si percepisce una passione per i gialli, quali sono quelli che lo hanno appassionato di più?
"Chi leggerà il romanzo si accorgerà della citazione di un celebre giallo di Leonardo Sciascia, “A ciascuno il suo”. Leggo molti gialli e amo in particolare quelli insoliti, dove il lettore, alla fine, non viene “consolato” del tutto dalla soluzione del caso e viene lasciato un po' in sospeso, a chiedersi se il colpevole è davvero quello che l’investigatore rivela col suo lavoro. Citare i miei autori preferiti è facilissimo: oltre Sciascia, Dürrenmatt e Simenon. Per quanto riguarda gli autori dei nostri giorni, leggo volentieri i libri della mia concittadina Cassar Scalia e quelli di Carlo Lucarelli".
A chi si è ispirato per dipingere la figura del protagonista?
"Marco l’ho incontrato tante volte nelle assemblee o nelle manifestazioni politiche degli anni '70. Era quello serio, che parlava poco e pronto a reagire, magari fuori misura, se vedeva un debole offeso o un diritto violato. Ne ho visti tanti come lui. La maggior parte, col tempo, ha fatto scelte contraddittorie con la realtà che contestava in quegli anni. Alcuni hanno, invece, fatto scelte estreme che li hanno portati ad autodistruggersi. Nel romanzo ho provato a raccontare di questi ultimi".
Il suo viene definito un romanzo di formazione, dove da un’iniziale impeto tipico dell’adolescenza (e anche post) si passa alla delusione dell’età matura. Il mondo non si può cambiare, o è più saggio non farlo?
"Tutte le rivoluzioni, siano esse armate, culturali o sociali, nascono da grandi spinte ideali. Non lo so se il mondo si può cambiare. Di sicuro la storia ci insegna che tanti ci provano continuamente e, per fortuna, a volte qualcuno ci riesce davvero. La storia di Marco può essere compresa fino in fondo se ci si mette nei panni di un giovane che vive immerso nella società italiana di quegli anni, dove le grandi pulsioni verso il cambiamento venivano frenate e rimbalzavano contro un muro di gomma".
C’è tanta vita e realtà in questo suo romanzo che passa dai lati oscuri che covano all’interno delle famiglie, a quelli che si riflettono poi nella società, come è riuscito a raccontarli così bene?
"Altro bellissimo complimento al quale, però, ho difficoltà a rispondere. La famiglia che racconto nel mio romanzo appartiene alla borghesia ricca e potente che era numericamente minoritaria nella Sicilia di quegli anni, ma determinante nelle scelte, a volte scellerate, che sono state fatte a scapito della vivibilità e della bellezza delle città della mia terra. Il fatto di aver puntato l’attenzione sull’espansione urbana e sulla speculazione che ci stava alle spalle non è certamente un caso. Se sono riuscito a raccontare in modo efficace questo aspetto forse è proprio perché provo davvero tanto dolore per lo scempio urbanistico che ha massacrato la Sicilia e che è iniziato tra gli anni 60 e 70 dello scorso secolo".
La storia d’amore del protagonista, alla fine sembra una boccata d’aria, è sempre il cuore che ci salva?
"Non sono particolarmente suggestionato dagli aspetti romantici.
Per rispondere alla domanda, però, dico sì. L’amore è sempre un motore potente che può costringerci a cercare di sciogliere i nodi che ci tengono prigionieri e ci fanno soffrire, magari quegli stessi nodi che la nostra rabbia ha creato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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