Maraini denuncia gli orrori del Novecento ma se ne dimentica uno: il comunismo

C'è spazio per tutto tranne i Gulag. Si cancella così un totalitarismo assassino

Maraini denuncia gli orrori del Novecento ma se ne dimentica uno: il comunismo
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Molto toccante, l'ultimo libro della Maraini, solo che mi è rimasto un dubbio grande come una casa, anzi come una dacia di un gerarca sovietico. Voglio dire: la Maraini racconta della sua detenzione nei campi di prigionia in Giappone: lei era una bambina, la famiglia antifascista, il Giappone come sappiamo alleato dei nazifascisti. Queste «memorie di una bambina italiana in un campo di prigionia», intitolate Vita mia e pubblicate da Rizzoli raccontano un'esperienza poco conosciuta dal grande pubblico, quella riservata ai dissidenti agli antifascisti in territorio nipponico. Non erano come i lager nazisti, ma rischiavi di morire di fame.

È un memoriale, questo di Dacia, pieno di profumi ma anzitutto tragico, e letto dall'inizio alla fine, sorvolando sulle parti piene di odori di ogni tipo (perché Dacia ha «un naso capace di captare gli odori più sottili») che se sei allergico ti viene un'allergia solo leggendo, un j'accuse contro tutti i totalitarismi, dalla caccia alle streghe alla Santa Inquisizione, dal nazismo fino alle dittature islamiche. Dacia, dopo la fine della guerra, va a visitare i campi di concentramento nazisti, tutti, perché è contro ogni totalitarismo, per vedere l'orrore, e ha fatto benissimo, dovrebbero farlo tutti. Ma si dimentica un dettaglio (chiamiamolo così), e qui il mio dubbio diventa grande come un'immensa dacia di un gerarca sovietico: il comunismo non c'è. Com'è possibile? Dovrebbe essere in pole position nella lista degli orrori insieme al nazismo e al fascismo, tanto più che la Seconda Guerra Mondiale, che ha portato la famiglia Maraini in un campo di prigionia giapponese, inizia con un patto tra Hitler e Stalin, non devo certo spiegartelo io. Oh, non ci crederete, ma se la follia fascista e hitleriana viene nominata più volte, quella stalinista e comunista neppure una volta, nella Vita mia vissuta da Dacia non ve n'è traccia. I milioni di morti sovietici non esistono. Anzi, una volta compare, per la verità, la parola comunismo, ma come critica alla «Liberazione, perché sarebbe stata una ottima occasione per infliggere un colpo decisivo alle mafie, ma loro (gli americani), per paura del comunismo, hanno preferito allearsi con i fuorilegge piuttosto che con coloro che avevano fatto la Resistenza». Certo che sì, perché una gran parte di coloro che hanno fatto la Resistenza parteggiavano per una dittatura analoga a quella nazista, e gli americani furono avvisati da un eroe nazionale in esilio, il conte Carlo Sforza, di non appoggiare la Resistenza proprio per questa ragione. La loro priorità era sconfiggere il nazismo prima, e combattere il comunismo dopo.

In compenso, nella vita di Dacia, c'è spazio per Hiroshima e Nagasaki (a questo punto perché non anche per Dresda rasa al suolo dagli inglesi?), ma in un mondo, quello giapponese, dove «la morte non è mai qualcosa di definitivo, ma una tappa, un passaggio da una vita all'altra. Questo mito come tanti altri costumi tradizionali appartiene a un mondo che sta scomparendo, nonostante la tenacia nel mantenere le antiche tradizioni. I McDonald's, i palazzi di cemento e vetro, le strade piene di automobili hanno largamente sostituito quel mondo delicato e cerimonioso fatto di odori e sapori squisiti, che vengono conservati con amori».

Tuttavia non c'è una dittatura del McDonald's, Dacia. Nell'Occidente moderno puoi scegliere cosa mangiarti e cosa odorare e cosa leggere e cosa pensare. Ora accendo la mia PlayStation e mi ordino un Big Mac, che per me profumano di libertà.

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