Omero, cantore della nostra eterna Iliade

Robin Lane Fox ricostruisce la figura dell'aedo cieco che parla anche all'oggi

Omero, cantore della nostra eterna Iliade

Omero e l'Iliade, di Robin Lane Fox (Einaudi, traduzione di Valentina Palombi, 599 pagine, 36 euro), si apre con due citazioni. La prima è di Plutarco, tratta dalla Vita di Alessandro, e racconta di come quest'ultimo, dopo aver sconfitto Dario, il re dei Persiani, ne usasse la cassetta porta-valori per custodirvi l'Iliade, l'esemplare annotato da Aristotele, che portava sempre con sé. La seconda è tratta dall'autobiografia di Oliver Stone, Cercando la luce, ed ha a che fare non con la sua attività di regista, ma con la sua esperienza di soldato in Vietnam: «Mi ricordava i brani di Omero in cui gli dèi e le dee scendono dall'Olimpo e intervengono nella sanguinosa battaglia di Troia per aiutare i loro favoriti, avvolgendoli con un mantello o una cortina di nebbia e trasportandoli verso la salvezza». Fra le due citazioni, c'è un arco temporale vertiginoso nella sua estensione e in cui tutto cambia e però quell'unico elemento, il poema omerico, rimane fermo e insieme attuale, il che ci fa riflettere e insieme però fa rabbrividire. «I valori dell'Iliade -nota Lane Fox- non sono una remota bizzarria storica. Vergogna e fama, onore rabbia e ignominia ci coinvolgono perché dominano ancora la nostra vita».

L'autore di Omero e l'Iliade è un classicista di chiara fama, professore emerito al New College di Oxford, autore fra gli altri di una monumentale biografia di Alessandro Magno, di cui proprio Oliver Stone si servì per il suo Alexander cinematografico, nonché del bel saggio Eroi viaggiatori, una sorta di reportage sul modo antico dove spedizioni, vagabondaggi, scoperte ed esplorazioni andavano a braccetto con il mito e le sue umane incarnazioni, Teseo, Giasone, Icaro, Odisseo

Qui però l'intento è un altro, una sorta di biografia basata su indizi e deduzioni piuttosto che su prove e certezze, cercando di fare luce il più possibile su quella che viene ancora oggi definita questione omerica, per lungo tempo campo di battaglia per l'erudizione più sfrenata e, per chi ne ha memoria, avendola subita in un'epoca in cui ancora a scuola si insegnava l'epica, fonte di noia profonda. Schematizzando al massimo i risultati a cui Lane Fox arriva nel corso di qualche centinaio di pagine,

diremo che Omero nacque intorno all'ottavo secolo A. C., probabilmente nell'isola greca di Chio, fu un narratore orale che non sapeva né leggere né scrivere (l'alfabeto aveva fatto la sua apparizione appena qualche decennio prima) e come tale fu un attore, perché la narrazione porta con sé pause, caratterizzazioni, toni di voce eccetera, dettò a uno scriba quella che è la versione dell'Iliade che poi è giunta sino a noi. Se non inventò l'esametro, per certi versi però inventò l'epica, nel senso che trasformò l'elencazione di imprese in un intreccio, gli diede un senso, una logica, una finalità.

Dall'indagine di Lane Fox emergono anche altri elementi. Uno è che con molta probabilità la guerra di Troia non ci fu; un altro è che il cuore dell'Iliade non è comunque la guerra, o la forza, ma più semplicemente, e più tragicamente, la condizione umana, anche se è l'eccesso, la hybris greca, a giocare un ruolo non secondario: «Nonostante le numerose scene di uccisioni, il concetto stesso di spingersi troppo in là o oltre un comportamento accettabile soggiace a tutta la trama, oggetto di una condanna implicita».

Guerra e condizione umana sono tuttavia concetti talmente fra loro intrecciati che separarli oltre che difficile si rivela inutile. Non a caso, nel suo saggio Lane Fox fa riferimento ad altri due libri importanti. Il primo è The War That Killed Achilles, di Caroline Alexander, dove ciò che viene messo bene in evidenza è la mortalità di Achille e non la sua presunta invulnerabilità (di cui del resto nell'Iliade non v'è traccia); ed è proprio intorno al fatto che quella è «la guerra che uccise Achille» che si sviluppa la sua analisi e che in fondo si sviluppa la stessa Iliade, dove la notizia che Achille morirà non solo echeggia più volte, ma più volte viene dallo stesso eroe richiamata alla mente: «Ci sarà un mattino, una sera, un meriggio/che qualcuno mi toglierà la vita in battaglia». Il secondo è Achilles in Vietnam, di Jonathan Say, uno psichiatra americano che ebbe in cura molti veterani di quella guerra e dove «l'ira funesta del pelìde Achille» altro non è che «il lutto dei combattenti che diventa progressivamente collera rabbiosa, desiderio di morire e impulso a uccidere

quanti più nemici possibili». Il capitolo che Lane Fox dedica ad Achille, è del resto esemplare nel suo ricostruirne il carattere, focoso e collerico e però capo prudente, ospite generoso e poeta, oratore capace di magnifici discorsi, l'unico, soprattutto, che sa di essere destinato a morire giovane e a morire a Troia, a conoscere cioè in anticipo il proprio destino. «L'Iliade segue il percorso di Achille dalla collera all'ira e alla sete di vendetta e infine alla pietà e alla compassione».

Nelle cinque sezioni che compongono Omero e l'Iliade, grande spazio hanno anche le questioni riguardanti il sacro e le divinità, il composito pantheon degli dèi della Grecia e il complicato rapporto che intercorre fra essi e il mondo degli umani. Fra le tante che si potrebbero segnalare, spicca la similitudine di cui Omero si serve per indicare la facilità con cui Apollo, che parteggia per i Troiani, abbatte il muro che i Greci avevano costruito davanti alle loro navi, la stessa facilità, appunto, che «sulla riva del mare fa con la sabbia /un bambino che dopo aver costruito con essa un giocattolo,/ di nuovo la rimescola coi piedi e con le mani per gioco» Edificare e distruggere, per il puro piacere di farlo è la condizione della divinità contro la quale l'essere umano non può nulla. Vulnerabili «come le foglie, così le stirpi degli uomini» è scritto ancora nell'Iliade e questa debolezza che ci accompagna nel corso della vita, questa ineluttabilità ci raccontano anche la nostra unicità, la consapevolezza della nostra imperfezione che ci rende esseri privilegiati proprio perché esseri condannati.

Si capisce allora anche un altro dei grandi temi dell'Iliade, che è quello della vergogna e specularmente quello dell'onore: «I valori bellicosi degli eroi, la loro preoccupazione per il proprio prestigio e per i compensi materiali e la loro reazione alla vergogna come sanzione tendono a essere studiati come sentimenti molto lontani da quelli dei lettori moderni. In realtà, dominano ancora interi settori della vita moderna».

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