Per gentile concessione della casa editrice Ares pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Alberto Leoni, «O tutti o nessuno!». Storia e ritratti dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia-Romagna nella Seconda guerra mondiale
Quando l’Italia entrò in guerra, il 10 giugno 1940, nessuno poteva prevedere quale catastrofe si sarebbe abbattuta sul nostro Paese. Ben prima che i bombardamenti martellassero le nostre città, ben prima che l’odio ideologico e la brutalità dei soldati falciassero decine di migliaia di innocenti, la guerra era un dramma che si svolgeva all’estero, in tutti i Paesi in cui si espandeva la politica mussoliniana (giacché proprio lui, il Duce, si era arrogato il diritto e la responsabilità di decidere per tutta l’Italia senza tener conto dei rari pareri avversi). In queste guerre tragicamente assurde i soldati italiani fecero quanto veniva loro ordinato: e va ricordato che proprio la gran parte di quei militari, dopo l’armistizio, avrebbe scelto di opporsi al fascismo, sia con la scelta resistenziale, sia restando nella condizione degli Internati militari italiani (Imi) che, in numero di 600.000, patirono fame e malattie e contarono ben 40.000 morti in prigionia.
In quei contesti la presenza dei cappellani militari fu continua e capillare. Si tratta di una categoria di sacerdoti sul cui ruolo, nel dopoguerra, vi sono state feroci contestazioni proprio in ambito ecclesiale. Partecipare a una guerra, per un sacerdote, sembra a molti una contraddizione insanabile; l’ideale pacifista, in questo caso, sembra aver preso il sopravvento sulla tradizione, manifestando lo stesso grado di intolleranza che il veterocattolicesimo, precedente al Concilio Vaticano II, manifestava nei confronti degli obiettori di coscienza, tacciandoli senza mezzi termini di viltà (vale qui la pena di annotare che l’esercito britannico aveva già superato questo problema fin dalla Prima guerra mondiale, quando gli obiettori di coscienza servivano come portaferiti ed erano universalmente apprezzati per il loro eroismo). Due opposte visioni ideologiche, quella
tradizionale e quella progressista, che semplicemente non tengono conto dell’uomo. Proviamo a spiegarci con una leggenda tratta dalla tradizione dell’Oriente cristiano così
come la narra Vladimir Sergeevič Solov’ëv nel suo saggio La Russia e la Chiesa universale.
Un giorno san Nicola e san Cassiano furono inviati sulla terra per un giro d’ispezione e si imbatterono in un carrettiere il cui carro si era profondamente impantanato nel fango. San Nicola decise di aiutare il pover’uomo e chiese a san Cassiano di aiutarlo, ma questi rispose che mai e poi mai avrebbe sporcato la sua bianca clamide. San Nicola scese nel fango e tirò il carretto fuori dalla fossa. Al ritorno in Paradiso, san Pietro rimproverò san Nicola per essersi presentato in uno stato pietoso. Quando però seppe dell’aiuto dato al carrettiere, san Pietro stabilì che san Nicola sarebbe stato festeggiato due volte all’anno mentre, rivolto a san Cassiano, disse: «Tu accontentati del piacere di avere una clamide immacolata: avrai la tua festa solo negli anni bisestili, una volta ogni quattro anni». Se guardiamo alla storia, constatiamo che all’inizio dello Stato italiano unitario non c’erano sacerdoti al seguito delle truppe. L’ordinariato militare venne istituito nel 1915, iniziando il suo servizio durante la Grande guerra. Nuovamente soppresso nel 1922, venne ripristinato nel 1926 ed esiste a tutt’oggi. Per un’unica ragione: se la Chiesa non è accanto all’uomo che vive l’esperienza più spaventosa che possa vivere, ovvero la guerra, a che cosa serve?
Ai nostri tempi digitali anche l’Ordinariato militare per l’Italia ha un suo portale web. Vi si precisa che l’obiettivo del cappellano militare è quello di essere «tutto a tutti».
Così, più in dettaglio, ne vengono descritte le caratteristiche:- disposizione ad una pastorale autentica ma adeguata allo stile della vita militare, dinamico e operativo;
- piena disponibilità all’accoglienza e alla ricerca dei più lontani ed in difficoltà;
- condivisione piena del tempo e dei disagi nella complessità della vita militare;
- giovinezza di spirito, anche se in età matura, per questo ambiente costituito soprattutto di giovani;
- stabilità e maturità affettiva e psicologica, necessarie per superare solitudine e scoraggiamento;
- trasparenza di vita, autenticità evangelica e sacerdotale; – grande intimità con Dio e passione per il Vangelo.
Queste informazioni possono aiutarci a comprendere meglio come erano fatti quei quattordici cappellani le cui foto o lapidi sono ospitate nella chiesa di Pieve di Rivoschio.
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