"La sinistra di oggi? È vecchia e noiosa. Vedo solo tromboni e frasi fatte"

L'assessore Lenzi torna scrittore e presenta "Malcomune", l'irresistibile ricostruzione della sua tragicomica epurazione a Livorno. Acuto, autoironico e implacabile, sembra il nuovo Bianciardi. E dice: "Il mondo è cambiato, gli stalinisti no".

Simone Lenzi
Simone Lenzi

"Basta con i tromboni". Scrittore, autore di canzoni, cantautore, sceneggiatore, Simone Lenzi nella sua carta d’identità ideale scriverebbe "uno che ha vissuto con le parole". Ma certo non le usa per fare sermoni.
L’ex assessore di Livorno, le parole d’ordine non le sopporta. Grandi dogmi e frasi fatte non fanno per lui. Il politicamente corretto, più che irritarlo lo annoia a morte, proprio come una politica faziosa e prevedibile. «La verità è che, venuti meno i grandi principi universalistici della sinistra, tutto si riduce a tifoserie e curve di ultrà, non c'è un confronto vero. Quindi non mi interessa, io voglio fare altro». Non l'intellettuale però. «È pieno di inutili tromboni». «La vera sconfitta della sinistra - osserva - è stata smettere di ridere di sé». I «miglioratori del mondo», li chiama così. «È tutta una corsa a mettersi la casacca dei buoni e dei giusti». «Narcisismo etico», Lenzi ha coniato questa definizione. «Vai a letto dicendo “quanto siamo buoni e bravi” e poi magari lasci il mondo come l’hai trovato».

Malcomune


"Gender ironic", inquisizione e defenestrazione
«Autoironia. Noi ne eravamo capaci, un tempo». Noi. Sì, Lenzi viene da lì. Era assessore alla Cultura e in autunno è stato fatto fuori, per qualche tweet ironico o irriverente, da una specie di «plotone di esecuzione» ideologico: conferenza stampa, abiura e tutto il resto. L’accusa ufficiale? Omofobia e «transfobia». In realtà era stato «notato», soprattutto dai grillini, un suo sfogo contro il «Fatto quotidiano» per una striscia «satirica» (invero raccapricciante) sul 7 ottobre. Ovviamente i suoi tweet non avevano nulla di omofobo o discriminatorio. Aveva scherzato anche su uno di quegli schemini che individuano 28 fra orientamenti e generi sessuali, con relativo simbolo. «Che fortuna essere prossimi alla vecchiaia!» E, confessando in radio anche qualche esperienza omosessuale giovanile, si dichiara «gender ironic».
I gendarmi del politicamente corretto non potevano capire. E infatti non hanno capito.

Il libro Malcomune in uscita
Ovviamente Lenzi è toscano, quindi per dirla con Malaparte possiede la sfrontatezza di chi ha «serbato il gusto antico delle parole schiette, sane e caste». Di più: è livornese, e quindi prende in giro prima di tutto se stesso. «Il Vernacoliere? A volte anche loro sono un po' conformisti». Le parole le sussurra, ci gioca. Come in «Malcomune», un memoir che sarà nelle librerie da domani, 28 febbraio, per «Linkiesta books» (144 pagine, 15 euro). «Un libriccino scritto per divertirmi e dimenticare - minimizza - Forse qualcosa di meno. Magari qualcosa di più». Di più, di più. Prendete «Il lavoro culturale» di Luciano Bianciardi e non siete lontani. Come non è lontana la Maremma dagli scogli del Romito. Un irregolare, comunque. «Non ho mai avuto velleità rivoluzionarie. Penso che sia una fortuna poter vivere in una democrazia, un luogo in cui dire quello che si vuole». «Sono un quieto borghese, ho solo il gusto della provocazione, di un pensiero laterale, del non essere intruppato nelle parole d’ordine. Credo si possa definire semplicemente onestà intellettuale».

La sostenibilità inclusiva della resilienza
E cosa dovrà mai dimenticare? Per esempio la «tragicomica» chiusura della sua esperienza in Comune. La racconta in terza persona nel libro, e la pagina sulle formulette della neo-lunga ideologico-amministrativa vale il prezzo «del biglietto». «L’assessore - racconta - si era abituato alla pigrizia intellettuale e al gergo canagliesco gergo canagliesco che aleggia intorno a quelle deleghe. Per quanto opponesse ancora resistenza a usarle in proprio, aveva almeno imparato a non digrignare i denti quando qualcuno diceva territorio, resilienza, sostenibilità, pratiche, città pubblica, inclusione, fragilità».
Da assessore, Lenzi aveva messo giù anche qualche fatto, in 5 anni, prima di essere liquidato in 48 ore con un’epurazione ridicola per quanto volesse essere drammatica. Gli ha fatto male, ma ha deciso di non stare zitto. «Per un po’ - dice - quella cosa mi ha fatto molto incazzare e mi ha molto addolorato». Ora ci sorride. «Tranquilla, non mi suicido - così in “Malcomune” racconta il colloquio con la moglie dopo le dimissioni - Ti pare che uno si suicida per aver dato le dimissioni da assessore alla Cultura del Comune di Livorno?». «No, in effetti - risponde la moglie, che però non sembra serena - prendi le goccine comunque».

L'ideologica che fa velo
Passata l’incazzatura, Lenzi è tornato a divertirsi. «Sto bene, ho riniziato a fare le cose mi piacevano. Non ho il dente avvelenato. Non li scuso, ma chissenefrega». Non è un me ne frego. «No no, non sono mica passato di là! Scriva “chi se ne importa”» suggerisce. Ma anche quest'antifascismo di maniera, tanto in voga oggi, gli pare un rito vuoto e noioso. «Si continua a ragionare con categorie novecentesche in un mondo completamente cambiato. Parole pigre, vecchie, vessilli che non interpretano più la realtà, ma servono a non analizzare davvero i fenomeni». Per esempio l’immigrazione. «Il buon senso è stato messo da parte. Io sono per lo ius scholae, per me chi pensa in italiano, o in livornese, è evidente che sia italiano. Ma l’idea che vada tutto bene, come si può sostenere? Ci sono zone di Milano, Roma, Livorno, in cui si ha paura a mettere piede e le donne non possono uscire sole. Non si può chiudere gli occhi davanti a tutto questo». Il velo? «Dipende dal velo. Io sono femminista, sempre stato, ma alla sinistra una bambina coperta da capo a piedi va bene?». La guerra? «No, dai», non tromboneggiamo. «Ecco, certo non sono un simpatizzante di Hamas e gli amici della Comunità mi hanno fatto ebreo ad honorem. Detto questo, come tutti vedo anch'io con dolore la morte e la distruzione».

Dalle livornine al conformismo
Difficile che faccia politica. «Prima dovrei sapere per chi votare». Anarcoide, radicale. Ora gli piace dirsi «liberale». Conservatore no. «Però si diventa ridicoli, invecchiando, a sposare sempre il nuovo, qualcuno di 20 anni che ti dia un calcio nel culo serve». «Io però sono il primo livornese punito per una battuta, dal 1591». L’anno delle livornine, leggi medicee che - istituendo un porto franco - garantivano libertà di culto e annullavano debiti e condanne, richiamando «mercanti di qualsivoglia nazione», «levantini, ponentini, ebrei, mori, persiani», fondando quella straordinaria eccezione chiamata Livorno. «Una città che nasce cosmopolita, che ha un nome in tutte le lingue europee, con un’importantissima comunità ebraica e il primo consolato americano». «Una città che negli ultimi anni si è chiusa, è diventata autoreferenziale».

Egemonia culturale ed eterno stalinismo
Prima dell’epurazione, dicevamo, aveva organizzato la mostra (110mila visitatori) con cui Livorno ha fatto pace con Modigliani dopo «la burla del secolo», quella «straordinaria figura barbina» che ha appena compiuto 40 anni: le false teste di Modigliani ripescate nei fossi, gli espertoni commossi inutilmente, e poi le foto impietose che documentavano la lavorazione con un prosaico «Black & Decker». Era «la fine dell’egemonia culturale della sinistra di cui si sarebbero accorti trent’anni dopo». Si sgretolava lì, «davanti ai granitici obbrobri benedetti da Argan e da tutta la meglio scienza del Pci». Lo scherzo più geniale e crudele della storia, che solo a Livorno si poteva architettare. Ed era impossibile che Lenzi andasse d’accordo con l'apparato minore che è l'erede di quel mondo, e che ne ha i difetti, senza avere i pregi.

Nel libro rammenta Michail Zoščenko, l’umorista più letto in Urss: «Venne cacciato dall’Unione degli Scrittori e si ridusse a fare il calzolaio». «Alla fine il modo in cui hanno defenestrato me è fascista». O comunista. Ricorda quando l’Urss, nel ’56, ha soffocato nel sangue la rivoluzione ungherese, e i comunisti italiani bollavano i rivoltosi come «spregevoli provocatori» e «teppisti». «Lo diceva l’Unità, doveva essere vero per forza».

Inutile fare domande, «indispensabile e urgente invece far fuori chi se ne faceva»: «Era vero nel 1956 restava vero nel 2024, che poi si fosse nel frattempo sostituito il marxismo-leninismo con la nuova ontologia intersezionalista era solo un dettaglio. Stalinisti una volta, stalinisti per sempre».

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