LEZIONI DI GOVERNO DAL GOVERNATORE

LEZIONI DI GOVERNO DAL GOVERNATORE

In una clamorosa commedia delle ipocrisie sceneggiata da giudizi istituzionali e piatti, la quasi totalità degli osservatori si è affrettata ieri a commentare positivamente la relazione del nuovo Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Che ha suscitato, appunto, generale consenso e apprezzamento. Il parterre de roi presente alle Considerazioni finali, il medesimo da sempre, riesce a passare nel giro di un anno all’entusiasmo per gli opposti, da Fazio a Draghi.
Fuffa. Banchieri, politici e burocrati che ieri si sono affrettati ad applaudire hanno solo da sperare che le vischiosità del sistema impediscano la rivoluzione di Draghi. La relazione del governatore è stata lucidamente liberale, dal respiro internazionale e sanamente minoritaria. Ma è destinata a scontentare ampi settori, i più conservatori, della nostra società. E per continuare lo striptease delle ipocrisie, anche riguardo casa nostra, male ha fatto il governo Berlusconi, che pure alla fine ha scelto Draghi, ad indugiare tanto prima di nominarlo.
I capitoli fondamentali delle Considerazioni finali sono due: l’intreccio tra sviluppo e finanza pubblica e gli affari di banche e risparmio.
Il governatore mostra un’attenzione particolare allo sviluppo dell’economia. Draghi non menziona alcun buco straordinario nei conti pubblici, riconosce la necessità di una correzione dei saldi, ma lascia il campo al neo ministro dell’Economia. Su due aspetti più generali non tace: si vada in pensione più tardi e si punti sullo sviluppo dell’economia. Draghi riesce a dire: «È all’ottimismo dell’iniziativa che bisogna ispirarsi, non al malinconico rimpianto di un protezionismo che fu». E agli imprenditori chiede, unica esortazione nelle sue 22 pagine, «il coraggio e la lungimiranza di non essere passivi di fronte alle difficoltà». Insomma che si rimbocchino le maniche e non pensino ad aiuti pubblici. Tanto più che Draghi in un passaggio fulminante aggiunge: «Politiche di incentivazione delle imprese possono essere d’aiuto, ma la loro utilità non va sopravvalutata».
E ancora «la concorrenza costituisce il miglior agente di giustizia sociale in un’economia». Infine avverte governo e Confindustria dei rischi di un eventuale aumento dell’Iva per finanziare una riduzione degli oneri sul costo del lavoro.
Se l’applauso a Draghi su queste considerazioni unisce governo, sindacati e imprese assistite, c’è qualcosa che non va. O si pensa che le parole del governatore siano irrilevanti o si crede che rimangano lettera morta.
Draghi anche nei confronti di casa sua, fatta di banche e intermediari finanziari, usa argomenti forti. Intanto sposta Banca d’Italia dal centro della partita per il riassetto creditizio agli angoli del campo. Su questi temi prima decidano i consigli di amministrazione delle banche e poi si rendano note le conclusioni a Palazzo Koch: esattamente l’opposto della precedente procedura.

Nessuno dunque si senta tutelato: tutti giocano in mare aperto, e Draghi si tiene solo il cartellino per le ammonizioni. Infine sui costi allo sportello chiede un rapido riallineamento alle migliori pratiche continentali. E sui fondi comuni invoca una tassazione più ragionevole.
Non ci sono sconti per nessuno. Eppure tutti plaudono.

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