Gli iscritti al Club degli Hearnologi cui mi onoro di appartenere esultino, giacché è in libreria il secondo libro della saga degli Otori, Le nevi dell'esilio (edizioni e/o) di Lian Hearn (pseudonimo di Gillian Rubinstein), brillante critica cinematografica con un passato oxoniano, una lunga esperienza da redattrice artistica e un presente in Australia. Il fil rouge che attraversa la sua vita è però la smisurata passione, unita a una profonda conoscenza, della civiltà giapponese. Ciò l'ha appunto condotta a scrivere la saga degli Otori, ambientata in un Giappone feudale immaginario ma del tutto plausibile. Un gigantesco feuilleton su un Medioevo che ti incanta con la sua selva di nomi, luoghi, personaggi, intrighi di corte, battaglie, descrizioni minuziose. Un Giappone inventato, ma che sembra vero...
S'è già detto, ad esempio, della mai avvenuta battaglia di Yaegahara - da cui ha origine la sete di vendetta della famiglia degli Otori e quindi il tema dell'intera epopea e di come essa riecheggi quella autentica di Sekigahara, accaduta nel 1600. Così, Hagi e Matsue sono le sole due città reali nominate e conferiscono una patente di autenticità a tutti i castelli, i monasteri e i luoghi inventati, di cui Lian Hearn, più che semplici descrizioni, offre radiografie. Le meraviglie partorite dalla fantasia dell'autrice traggono spunto dalle opere di Sesshu Toyo, pittore, monaco buddista zen del periodo Muromachi (1400) e paiono ancor più vere... Il sistema d'allarme chiamato «il canto dell'usignolo», un pavimento che «cinguetta» se calpestato, mettendo in guardia dagli intrusi, esiste davvero a Kyoto, nel castello di Nijo e nel tempio di Chion-in. Si chiama uguisubari.
Si capisce allora perché la saga degli Otori abbia venduto 5 milioni di copie e sia stata tradotta in 40 lingue. La critica ha paragonato Lian Hearn al Philip Pullman della trilogia Queste oscure materie. Anche la saga degli Otori ha una scrittura cinematografica e non ci stupiremmo se approdasse a Hollywood. Le nevi dell'esilio mantiene completamente le promesse de Il canto dell'usignolo. Col protagonista maschile, Takeo, lacerato e scisso nella sua triplice natura di «occulto», nobile e membro della «Tribù», a scegliere tra l'onore e l'amore, il richiamo del sangue e il senso del dovere.
Mentre la protagonista femminile, Kaede, appare un ardito esempio di protofemminismo, in un contesto quello del Giappone feudale e confuciano in cui solo accennare all'emancipazione della donna equivale a una bestemmia.
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