In Italia sappiamo esattamente quanti sono i ragazzi che studiano in ogni ordine e grado di scuola. Abbiamo dati precisi sui giovani che si laureano, quando e persino dove. Ci sono studi approfonditi su quanti lasciano la scuola, quanti hanno abbandonato prima del tempo e sono rimasti nel limbo tra coloro che non studiano e neppure lavorano, diventando un numero nella statistica peraltro sempre molto sotto i riflettori dei «Neet», acronimo rubato all'inglese che sta per «Not in Education, Employment or Training». Nullafacenti, per dirla all'italiana o storie di un lavoro che non c'è. Ma c'è un altro mondo, in Italia, che resta oggi per lo più sconosciuto. Ed è quello del lavoro minorile. Che c'è. E non è chiuso in qualche libro di storia o in un romanzo di Dickens o Verga visto che di Italia si tratta. Esiste oggi e magari anche a due passi da casa nostra. (R)esiste ed ha mille volti. Ha quello del figlio del gelataio al mare che ad agosto aiuta il papà a fare i cornetti. Ha il volto del figlio dell'artigiano che nei ritagli di tempo impara il mestiere. Ha il volto di chi viene fatto salire su un'impalcatura a 25 metri d'altezza, ha il volto sporco di calce di chi si deve caricare sulle spalle sacchi più grandi di lui. Ha il volto di chi si è trovato a dover aiutare economicamente la famiglia. Ha il volto di (baby) baby sitter, camerieri, baristi, giovani braccianti o manovali. Regolari, molti, ma molti altri anche no. Quanti? Numeri certi non ce ne sono. O per meglio dire. Non è mai stato fatto uno studio sistematico a livello istituzionale. Mai significa proprio mai.
FENOMENO SOTTOSTIMATO
Gli unici dati certi recenti sono quelli dei ragazzi con regolare contratto registrati all'Inps e quelli che accertano invece le violazioni. I primi contano nel 2021 (dato aggiornato a giugno scorso) 51.612 minorenni coinvolti nel mondo del lavoro, in aumento rispetto ai 35.505 del 2020. Si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti (45mila) ma ci sono anche 4.653 impegnati nel mondo agricolo. «Ma questi dati fotografano solo la parte emersa del fenomeno. A questi vanno aggiunti i ragazzi che lavorano senza contratto molti dei quali sfuggono al controllo», spiega Rosario De Luca, presidente della Fondazione consulenti del lavoro coinvolta dall'Unicef un mese fa per la creazione di un Osservatorio in Italia sul tema.
L'Osservatorio si è insediato il 28 giugno ed è sicuramente il segnale di un bisogno forse più diffuso di quanto si pensi. La finalità dichiarata, infatti, è quella di «contrastare gli abusi che hanno raggiunto livelli preoccupanti». Quali? Stando alle stime Istat, come riporta la Fondazione, sarebbero 15mila i minori in Italia impiegati in un lavoro irregolare o sommerso.
Numeri ben distanti da quelli che emergono dagli accertamenti dell'Ispettorato del lavoro: 500 i casi di bambini o ragazzi sia italiani che stranieri occupati in modo irregolare tra il 2018 e il 2019. La maggior parte impiegati nei servizi di alloggio e ristorazione, circa 70 nel commercio all'ingrosso o al dettaglio, e il resto in attività manifatturiere e nell'agricoltura. Nel 2020, grazie (è il caso di dirlo) alla pandemia, sono stati registrati «solo» 127 illeciti (contro i 243 del 2019) che sono diventati 114 nel 2021. Come riporta un'indagine di Openpolis prevalentemente nei settori «alloggio e ristorazione» (51 minori), «attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento» (23), «commercio all'ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli» (20), «altre attività di servizi» (19). In quasi tutte le aree del Paese si tratta in maggioranza di ragazze (oltre il 50% dei casi nel nord, 72% nel centro). Fa eccezione il sud dove i maschi sono il 53% dei lavoratori minori irregolarmente occupati. E tra le regioni, il maggior numero di violazioni si registra in Abruzzo (28), al nord in Lombardia (26) e Puglia (21). Con un grande «ma»: le violazioni accertate non sono la fotografia del fenomeno. Proprio per la mancanza di una vera rilevazione.
LE STORIE
L'unica ricerca fatta risale infatti a quasi 10 anni fa. Era il 2013 ed è stata effettuata da Save the Children con l'Associazione Bruno Trentin (ora Fondazione Di Vittorio). Ancora oggi in un articolo pubblicato a giugno sul loro sito dall'eloquente titolo «Lavoro minorile: un fenomeno globale che non risparmia l'Italia», riporta i dati di «Game over» (Giochi finiti) dove stimava che i minori tra i 7 e i 15 anni interessati al lavoro minorile nel nostro Paese ci fossero: ben 340mila, quasi il 7% dei ragazzi di quell'età. Tra questi, ipotizzano che circa 28mila 14-15enni fossero coinvolti in lavori pericolosi per la loro salute, sicurezza o integrità morale, «lavorando di notte o in modo continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, non avere neanche un piccolo spazio per il divertimento o mancare del riposo necessario», scrivono. Dunque, fuori legge.
«Numeri» cioè storie, cioè ragazzi spesso poco più che bambini. Storie di quasi 10 anni fa. Ma a quanto pare non vecchie storie. Che suonavano così. «Facevo il pescivendolo, dalle 4 e mezza di mattina fino alle 3 tutto il tempo a portare il ghiaccio senza guanti, gli chiedevo se aveva i guanti e mi diceva: Ti devi abituare, sei giovane. Avevo sempre il raffreddore. Alla fine mi ha dato 60 euro». E ancora. «Vedi i ragazzi piccoli che fanno i muratori: alzare un sacco di 10/15 chili sulla spalla porta problemi fisici, fallo andare sopra un'impalcatura di 25/26 metri senza casco, senza niente!», «Io avevo le vertigini e mi facevano salire su un'impalcatura di 20-25 metri. Il primo giorno stavo svenendo. E poi m'aggio abituato».
«Avevo sempre la febbre quando lavoravo. Lavoravo la notte dalle 11 fino alle 11 del giorno dopo, vendevo le pezze, stavo tutta la giornata sveglio perché non riuscivo a dormire a casa mia dove tutti stavano svegli, non mangiavo bene. A fine mese mi davano 300 euro». Nella ricerca, basata su interviste, sottolineavano come i minori non avessero consapevolezza delle situazioni lavorative nelle quali vivono. «Non percepiscono - scrivevano - la condizione di illegalità nella quale svolgono le proprie mansioni così come, non pensano proprio di trovarsi in condizioni non consentite. In molti casi questo è dovuto al fatto che molti ragazzi lavorano con le proprie famiglie o con i propri parenti. L'illegalità viene associata solo alle attività di spaccio o comunque legate agli ambienti criminali».
IN CONTROTENDENZA
Quello che oggi fa paura è che per la prima volta dal 2000 (dati del 2022) il lavoro minorile è tornato a crescere in tutto il mondo. Secondo l'Ilo (l'Organizzazione internazionale del Lavoro) sono 160 milioni, 1 su 10 i ragazzi costretti a lavorare. Colpa della pandemia. Colpa dell'aumento della povertà. E non importa arrivare fino nell'Africa subsahariana, il paese in testa a questa tremenda classifica con 86,6 milioni di bambini e ragazzi che lavorano (il 23%) quasi 1 su 4. La pandemia ha colpito duro anche a casa nostra. Le famiglie in povertà assoluta nel 2020, secondo le stime dell'Istat, sono oggi quasi 2 milioni. Dentro quelle famiglie fatte di 5,6 milioni di mamme, papà, ragazzi c'è una fetta (il 13,6%) di ragazzi che hanno meno di 17 anni, il 2,2% in più rispetto all'anno precedente e sicuramente più a rischio. Un rischio nutrito anche da un'altra problematica dove l'Italia detiene un triste primato: l'abbandono scolastico direttamente collegato all'avvio precoce al lavoro. In Europa solo la Spagna ha un tasso di abbandono medio superiore al nostro (16%), con punte in Sicilia e Campania che raggiungono il 19,4% e 17,3% contro il 9,9% europeo. «Il rischio - fanno notare ancora alla Fondazione consulenti del Lavoro - è che l'allontanamento dai processi formativi finisce per avere un impatto determinante sui fenomeni giovanili più regressivi: dalla microcriminalità, all'inattività (i neet) fino al lavoro minorile».
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