Lippi: «Ecco quanto vale il calcio italiano»

Franco Ordine

nostro inviato a Duisburg

Una coppa del Mondo per, non contro. Una coppa del Mondo dedicata al valore dei calciatori italiani, non inseguita con tutte le forze per nascondere sotto il tappeto la spazzatura dello scandalo. Il giorno dopo la memorabile conquista di Berlino e due ore appena di sonno riparatore, Marcello Lippi vuole cancellare dai dintorni della coppa l’etichetta, provinciale e scomoda, della foglia di fico. «La nostra soddisfazione deriva solo da una riflessione: abbiamo dimostrato al mondo la qualità dei calciatori italiani», sentenzia il ct, accolto da un caloroso applauso e dalla standing ovation dei giornalisti, tutti in piedi a salutarlo e, forse, anche a scioglierlo per un attimo. «Io sono uno che dà tutto, ho pregi e difetti, ma sono schietto, mai artefatto, e se mai attraverso momenti di tensione, dopo poche ore è tutto finito, dimenticato», racconta alla platea, come per ricomporre i cordiali rapporti. La vita non cambia per lui. Anche se da domani è in mezzo al mare con la sua barca e i suoi risentimenti, con la sua decisione presa e non modificata, di stare fermo per un anno. Un campione del mondo alla finestra. «Arrivare in cima è molto gratificante, solo chi arriva in cima può capire quanto sia difficile il percorso. Troverò nuovi stimoli e finché avrò la forza, continuerò a fare il mio lavoro, la sfida è questa», annuncia al popolo che vuole sapere, che pende dalle sue labbra. Niente annuncio solenne, appuntamento a oggi con il capo-delegazione Abete, ma attenti, il dado è tratto. E anche sul successore, le segnalazioni di Albertini (Demetrio) convergono su Donadoni, dopo che i Della Valle han fatto sapere di non dare via libera alla rescissione di Prandelli. «È giusto che io parli prima coi miei dirigenti e poi con voi», la giustificazione che sa appunto di scusa.
Una coppa del Mondo per dimostrare quanto vale il calcio italiano, allora. E per far sapere, a chi storce la bocca a proposito dello spettacolo offerto, che il verdetto è sincero e anche tecnicamente pertinente. «Se non si impone una squadra con accentuati valori tecnici, il Brasile cioè, allora è inevitabile che vinca una squadra come l’Italia che è riuscita a imporre le altre qualità», è la sua risposta.
Una coppa per dimostrare, finalmente, dopo anni e una striscia di tradimenti dal dischetto, che quella dei rigori è tutt’altro che una lotteria. «Io ho vinto e perso ai rigori. Ma anche qui il risultato finale non è casuale. A Manchester, quando persi col Milan, mi voltai e c’erano giocatori che non mi guardavano: a Berlino, mi sono rivolto alla squadra ed erano in dieci a dirmi, con lo sguardo, lo tiro io. Il rigore è un gesto tecnico e psicologico ed esiste un legame tra la sicurezza nei propri mezzi e la vittoria», la descrizione di un tabù finalmente vinto, battuto, esorcizzato. Nel ripercorrerne le tappe, Lippi fissa il crocevia ad Amburgo, vigilia di Italia-Repubblica Ceca. «Allora dissi alla squadra: dobbiamo arrivare primi nel girone perché possiamo evitare il Brasile e trovarci la strada spianata. Scattò la scintilla che ci ha portato fino alla semifinale», è la sua ricostruzione. E adesso questo gruppo di splendidi signor nessuno arrivati in cima al mondo, può anche dare vita a un ciclo. Senza Lippi. Con un altro Ct. Perché da domani è già Europeo, girone di qualificazione. «Non finirà come nell’82 quando al mondiale seguirono una serie di risultati negativi. Qui abbiamo calciatori addestrati dalla Champions. Spero che le società diano loro il giusto riposo e il recupero anche durante l’anno. Agli Europei possono far bene», è la sua convinzione, una specie di testamento per il successore.
Perciò il congedo è di quelli che si possono incorniciare dentro una foto simbolica. Lui e Cannavaro, uno al fianco dell’altro, dietro la coppa delle magie, a giocare sulla notte vissuta in compagnia del trofeo. «Lui ha dormito con la coppa, ma qualcuno ha dormito meglio», la battuta del ct riferita alla presenza di splendide compagne nel ritiro finalmente violato. Prima di ripartire da Duisburg e di salutare, l’ultima promessa.

«Finché avrò questo rapporto di complicità coi giocatori, ciascuno nel suo ruolo, continuerò a inseguire nuovi traguardi», giura Marcello. Ed è l’unica promessa che può fare in un giorno agrodolce che chiude la sua epoca azzurra. E due anni inimitabili.

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