Lippi ha già deciso: il primo mondiale sarà anche l’ultimo

Il ct azzurro: «Sento l’entusiasmo del debutto». Ma l’amarezza per gli attacchi subiti a livello personale e familiare hanno lasciato il segno

nostro inviato a Duisburg
È il suo primo mondiale da ct. Può diventare anche l’ultimo. Per scelta, orgogliosa e inattesa, non solo per conseguenza di un eventuale rovescio. Il contratto di Marcello Lippi si conclude a fine giugno: in tempi non sospetti fece sapere a Franco Carraro, all’epoca presidente federale di un calcio non ancora sfiorato dallo scandalo, di essere indisponibile a una riconferma a scatola chiusa. «Prima vediamo come va il mondiale e poi decidiamo»: così respinse tutti gli inviti a siglare una facile e gratuita riconferma. «Sento l’entusiasmo del debutto» detta il ct con impalpabile grazia nel primo giorno in terra di Germania. «Avverto anche una certa magia, non ho mai vissuto un mondiale né da calciatore né da magazziniere» scandisce con dolente ironia. È il suo primo mondiale, allora, il più complicato della storia del calcio nazionale. Eppure può diventare l’ultimo da ct. Dietro questo proposito clamoroso, maturato nei giorni difficili vissuti al centro dello scandalo, ferito negli affetti più cari, è possibile riconoscere tutto il temperamento del viareggino, con i suoi spigoli e le sue intemerate, i silenzi di queste ore scandite da una diffusa voglia di guadagnarsi il riscatto sul campo. Scontato il suo addio qualora il club Italia dovesse raccogliere un altro risultato deludente, tipo Giappone-Corea: allora il ciccione dell’Ecuador, l’arbitro Moreno, divenne il paracadute di Trap e dei suoi sfondoni. Con i giornali contro, l’opinione pubblica orientata dall’inchiesta, e la federazione azzerata dal commissario, sarebbe costretto all’esilio marinaro. «Sono così concentrato sul Ghana che non riesco a guardare oltre» risponde a chi gli chiede un pronostico, un impegno pubblico, un confine trasparente dove lasciare la delusione e marcare la soddisfazione di un bel risultato, dai quarti in su naturalmente.
Per questo Lippi è da qualche settimana al lavoro sul primo e unico mondiale della sua carriera. Perché ha deciso che comunque finisca l’avventura tedesca, toglierà il disturbo. Nauseato dagli attacchi feroci e indistinti alla sua persona e alla sua famiglia. È un altro dei segreti custoditi dal ct in queste prime ore vissute nello spartano albergo di Duisburg, curiosamente scelto dinanzi a una fabbrica di seni, nel senso di protesi. Non ne ha parlato né con Riva né con Abete, ha tenuto all’oscuro anche i suoi più fedeli cavalieri azzurri, Cannavaro, il capitano difeso in cento duelli rusticani, per esempio. Guido Rossi scoprirà tra fine giugno e i primi di luglio quest’altro tormento. E dovrà chiedere all’esperto tra i suoi collaboratori, Demetrio Albertini, un suggerimento, una candidatura. Sul mercato non resistono molti nomi spendibili per una panchina così suggestiva e così poco competitiva sotto il profilo economico. Zaccheroni è uno dei pochi arruolabili, qualora dovesse scegliere di stare ancora a guardare. Almeno fino a mondiale archiviato.
Così, nonostante i ripetuti dispetti del destino, gli infortuni in sequenza, Marcello Lippi ha bandito dal suo vocabolario rimpianti e rimorsi. Ripete votando una fiducia illimitata nei suoi prodi e in particolare negli esponenti di seconda fila chiamati a scaldare il posto ai titolari: Oddo nel caso di Zambrotta, Materazzi nel caso di Nesta, De Rossi nel caso di Gattuso, Perrotta nel caso di Totti non ancora pronto e Del Piero giudicato in fase di luna calante. «Tra i tanti difetti che mi riconosco, ho un pregio: voglio trasmettere grande fiducia al gruppo» ammette a un certo punto respingendo persino, come alibi, l’assenza di un leader alla Paolo Maldini. «Uno così non ce l’ha nessuno» chiosa prima di far sapere che non si sente vedovo, «non sentiamo che ci manca qualcosa» e magari anche lui pensa che quel Gattuso ferito ma non ancora domato, è il degno esponente della schiatta maldiniana. D’altro canto la differenza tra vincere un mondiale e uscirne con la coda tra le gambe, è sempre molto sottile. «Perché nonostante le stelle, da Mussi a Ronaldinho, da Sheva a Henry, da Totti a Del Piero, l’equilibrio tra nazionali storiche e nazionali di storia recente è ancora più consistente» la spiegazione che si può sottoscrivere. Aggiunge Marcello e in quel giudizio stringato e misurato c’è la traccia evidente dei suoi discorsi fatti al calar della sera, nei corridoi dell’albergo di Duisburg, quando i paisà mollano la presa dinanzi al cancello, ed è possibile sciogliersi in chiacchierate distensive. Lo schieramento contro il Ghana è fatto, «i dubbi sono vostri» aggiunge, «io sceglierò valutando le migliori condizioni» incalza ed è come se svelasse ciò che pensa sul conto di Totti.

Mandarlo in pasto ai leoni africani sarebbe come esporre lui a una figura brutta e la Nazionale a una partenza ancora più complicata. Il ct non vuole sbagliare una sola mossa. Anche perché questo è il suo primo mondiale. E l’ultimo.

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