FATWA. Passi che i ricordi paradisiaci di scudetti e Champions si allontanano malinconicamente. Passi pure che da Kakà faccia d'angelo a quel Cerbero di Yepes il contrappasso è duro. Ma che ora il Milan si trovi con una «fatwa» islamica sul groppone, pare effettivamente accanimento terapeutico. Eppure è così, almeno in Malesia, dove due imam - probabilmente senza molto altro da fare - hanno bandito dai campetti del Paese le maglie dei rossoneri. E non perché siano improvvisamente diventati tutti seguaci di Moratti, ma perché sullo stemma del club più titolato del mondo appare una croce: «Un musulmano - spiega il leader religioso Nooh Gadot - non deve venerare simboli di altre religioni o il diavolo». E se si pensa che - oltre alla croce rossa simbolo di Milano - i rossoneri sono anche chiamati «Diavoli», ecco che il merchandising del Milan nel mondo musulmano rischia di subire una bella battuta d'arresto.
GUERRA A SAN GIORGIO. D'altronde a ben vedere il Milan non è solo in questa «crociata». Sono infatti molte le squadre che portano la croce nella loro casacca o nel loro simbolo. E non è che proprio tutte siano delle accolite di ultracattolici che vogliono evangelizzare l'orbe terracqueo a forza di calci d'angolo e colpi di testa. Semplicemente, il crocifisso è simbolo millenario di una cultura tanto radicata da essere entrato negli emblemi, nei loghi, nelle bandiere. E il calcio, specchio della società, lo ha assorbito. Ecco dunque che anche il Barcellona, in cui la croce di San Giorgio (rossa su campo bianco, come quella di Milano) fa bella mostra di sé nello stemma, viene messa al bando.
BESTIE DI SATANA. Vietatissime anche le mute del Manchester United. Stavolta è a far storcere la barba agli ulema è la tendenza satanista di Ferguson e compagnia. Galeotto è lo stemma, che raffigura un Belzebù imbizzarrito col forcone in mano. Chissà cosa direbbero imam e muezzin se sapessero che l'insano demone è finito nel logo solo negli anni Settanta, dopo che sir Matt Busby si innamorò del soprannome «Red devils» di cui andavano fieri i giocatori di rugby di Salford. Certo, considerando i titoli vinti, forse tra United e Milan per una volta il diavolo - invece di fare le pentole senza coperchio - ha fatto le coppe con le orecchie.
STRAGE DI CROCIATI. Insomma, gli islamici si concentrano sullo stemma. Quel pezzo di stoffa ricamata che si appoggia sul cuore li fa andare in panico. Meno male che di fan del Vasco da Gama in Malesia non ce ne sono granché, perché se circolassero le casacche ci si accorgerebbe che sul cuore portano addirittura la croce dei Templari, adottata dall'Ordine di Cristo che finanziava i grandi navigatori portoghesi del XV secolo (tra cui appunto Vasco da Gama). Senza contare che sponsor dei bacalhau brasiliani è la catena di ristoranti arabi Habib's: sincretismo maledetto. E ancora, nella lista nera pure le maglie delle nazionali: Brasile (solita croce dell'Ordem de Cristo, stavolta bianca su campo blu e verde), Portogallo (croce rossa con all'interno 5 segni blu a ricordare le cinque piaghe di Cristo durante la Passione), Serbia (con la croce bianca locale, con le quattro C cirilliche, posta davanti all'aquila bicefala).
BRUCIA LA BANDIERA. Certo, poi è un problema se un Paese la croce ce l'ha nella bandiera. Per esempio, che facciamo con Inghilterra, Irlanda del Nord, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Svizzera, Grecia e persino con le Isole Far Oer? Un continente di fondamentalisti cattolici pericolosi e da condannare. Paradossalmente, invece, se la Città del Vaticano avesse una nazionale, la sua maglia potrebbe essere venduta da Kuala Lumpur a Baghdad senza problemi: nello stemma e nella bandiera la croce non c'è.
I DIMENTICATI. Eppure, nella loro foga iconoclasta, gli ulema malesi hanno scordato torme e torme di squadre con magliette inneggianti al Golgota. Non c'è bisogno di andare in Cile, dove l'Universidad Catolica di Santiago porta nel nome, nello stemma e nella casacca la sua identità cristiana; non c'è bisogno di finire in Messico, dove il Deportivo Cruz Azul sfoggia una croce blu come il mare di Acapulco. I «crociati» li abbiamo in casa. Pensiamo alla maglia del centenario dell'Inter, che pareva la cotta dei templari che conquistarono Gerusalemme. O ancora quella del Parma, dove la croce ducale blu monopolizzava i petti dei giocatori. Maglie sfuggite agli ultrà maomettani ma non a chi, su Facebook, ha ideato il gruppo «Aboliamo le maglie crociate nel calcio: sono irregolari». Un oltranzista che ha pure preparato un esposto alla Fifa e alla Uefa, contro Inter, Parma, Tenerife (seconda maglia), Corinthians (terza maglia, nera con croce blu) e perfino Boca Juniors per la casacca commemorativa.
A UN PASSO DAL SURREALE. Insomma, un'isteria collettiva che dalla Malesia arriva fino all'occidentalissimo Facebook. Un eccesso fondamentalista senza capo né coda che ha solo un'utilità: consigliare al neo portiere polacco della Fiorentina Boruc di non andare in vacanza in Malesia. Lui, ex estremo difensore dei cattolici del Celtic Glasgow, fu squalificato per aver fatto il segno della croce in faccia alla curva dei protestanti dei Rangers. Ovvio che in Malesia avrebbe vita molto breve. Ora non resta che aspettare la prossima assurdità ottusa.
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