Un personaggio realmente esistito dai risvolti leggendari: è la Sibilla, una delle sacerdotesse preveggenti note fin dalla latinità o anche prima. Una di queste sibille, le cui misteriose sentenze erano proverbiali, viveva a Cuma e riceveva le genti in cerca di un responso nel suo antro, oggi parte di un grande e interessante parco archeologico visitabile.
“Ibis et redibis non morieris in bello” è forse la citazione più celebre che viene attribuita alla Sibilla cumana. Era la risposta a un soldato che stava per partire per la guerra. Ma il significato è ambivalente, ambiguo, in base al punto del periodo in cui sarebbe stata posta la virgola. Se la pausa era dopo redibis, il significato era “andrai e tornerai, non morirai in guerra”. Se la virgola si trovava dopo non, il senso era “andrai e non tornerai, morirai in guerra”. Ma da dove viene il fascino di questa storia antica?
La Sibilla cumana e il suo antro
Nell’antichità preromana, quello delle sibille era un fenomeno piuttosto diffuso. Erano sacerdotesse consacrate al culto di Apollo, donne vergini che traevano auspici a seguito di un rituale ben preciso. Ce n’erano diverse nel Mediterraneo, ma quella di Cuma prendeva il nome, appunto, di Sibilla cumana. Ci fu sempre una Sibilla a Cuma, anche in epoca imperiale, non la stessa ovviamente, ma la sua funzione predittrice rimase invariata.
La Sibilla riceveva le persone nel suo antro, una caverna scavata nella roccia che culminava con un trono finale. Qui, alla luce di poche candele, la sacerdotessa si purificava in tre vasche colme d’acqua per poi trarre i suoi auspici, che venivano riportati su foglie di palma. E in latino talvolta l’ordine delle parole è fondamentale, almeno in un periodo complesso formato da diverse proposizioni: una foglia mossa dal vento e spostata avrebbe potuto cambiare il destino di chi interrogava la Sibilla sperando in un futuro roseo. A volte ottenendolo, altre volte no.
Oltre alla verità storica, c’è anche una leggenda legata alla Sibilla cumana. Di lei si sarebbe innamorato il dio Apollo, che le avrebbe offerto di esprimere un desiderio: la donna gli chiese di vivere tanti anni quanti i granelli di sabbia capaci di stare nel suo pugno. E così fu: Sibilla visse a Cuma, amata da Apollo, per moltissimi anni - e questa leggenda serve a spiegare non troppo razionalmente l’avvicendarsi reale di più sibille cumane nei secoli. Sibilla visse, finché non divenne vecchia e sempre più piccola, finché di lei non restò che l’eco nel suo antro.
Cosa visitare nel parco archeologico di Cuma
Il parco archeologico di Cuma è un concentrato di chicche storiche. Nato nel 1927 a seguito dei primi grandi scavi, possiede diversi siti visitabili, tra cui appunto l’antro della Sibilla, che dovrebbe risalire a un’epoca tra il IV e il III secolo a.C. Visitare l’antro significa immergersi nella storia della sacerdotessa e visitare quel luogo in cui lei svolgeva i suoi rituali di premonizione.
Un altro luogo del parco da visitare è la torre bizantina, che altro non è che uno dei bastioni della porta dell’acropoli. C’è poi il foro dell’antica Cuma, che era naturalmente il centro della vita politica e commerciale della città, e al quale sono afferenti le terme. Di particolare interesse è la crypta romana, di epoca augustea: è una galleria che fu edificata per finalità difensive. E infine, nella città antica, si trova anche una necropoli monumentale.
La cosa più interessante è che nella Cuma antica, nel suo cuore archeologico, si trovano elementi storici differenti: si parte da elementi architettonici sannitici o influenze creche, e si giunge a un rinnovamento apportato dai romani prima e dai bizantini poi. Un vero e proprio coacervo di culture che si fondono per rendere una testimonianza unica delle civiltà che si sono susseguite sul luogo.
La foto in evidenza dell'antro della Sibilla è di Nik893 via Wikipedia
La foto dell'antro della Sibilla è di Mentnafunangann via Wikipedia
La foto dell'antro del parco archeologico di Cuma è di Mentnafunangann via Wikipedia
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