La Grande Abbazia di San Galgano è un luogo ricco di storia oltre che un'apprezzata meta turistica. Quello che forse non tutti sanno è che a questi luoghi sono legate alcune delle storie più lette e famose nel panorama della narrativa cavalleresca. Da qui sarebbe originata la leggendaria storia di Re Artù, divenuto sovrano dopo aver estratto la spada nella roccia.
Cosa lega il leggendario sovrano di Albione, l'antico nome attribuito alla Bretagna, con una piccola località situata in Toscana? Pare che a pochissima distanza dall'abbazia si trovi, anch'essa in località Chiusdino (provincia di Siena), la vera spada nella roccia. Proprio quella che in tempi passati avrebbe contribuito alla nascita delle cronache arturiane.
Nelle vicinanze della Grande Abbazia si trova l'Eremo di Montesiepi, anche detto Rotonda di Montesiepi, costruito sopra la capanna che ospitò l'ultimo anno di vita di San Galgano. Vi si trasferì in corrispondenza della sua definitiva conversione, con la quale voleva liberarsi del peso di una giovinezza sregolata e votarsi a Dio.
San Galgano e la vera spada nella roccia
Si narra che San Galgano giunse a Chiusdino il giorno di Natale del 1180 e, una volta raggiunta l'area di Montesiepi, infisse la sua spada nella roccia. Il gesto aveva lo scopo di seppellire il proprio passato. Al contempo indendeva dare vita a un presente e un futuro espressi con la croce formata dall'elsa e dalla porzione di lama rimaste visibili.
Dopo circa un anno San Galgano sarebbe morto in quella stessa capanna e lì seppellito. Fu creato santo appena quattro anni dopo la sua scomparsa, e sul luogo della sua sepoltura venne costruito l'Eremo di Montesiepi. Leggenda vuole che fu dalla spada infissa nella roccia dal santo senese, al secolo Galgano Guidotti, che ebbe origine il mito di Excalibur e di conseguenza quello dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
Secondo altri racconti l'origine della spada nella roccia originerebbe sì dal desiderio di "creare" una croce, ma non secondo il metodo descritto. Dopo alcuni tentativi infruttuosi di utilizzare la spada per tagliare del legname, con il quale costruire la croce, il santo scagliò a terra l'arma in preda a frustrazione. La lama si conficcò nella roccia e lì rimase, senza che nessuno riuscì più a estrarla.
La spada impossibile da estrarre
Racconti popolari narrano del tentativo da parte di tre monaci, approfittando di un temporaneo allontanamento di Galgano, di estrarre la spada per rubarla. Non riuscendo nell'intento avrebbero rotto la lama per invidia. Al suo ritorno il santo trovò la spada rotta e ne fu addolorato. Dio disse a Galgano di avvicinare l'elsa alla restante parte della lama, che si fusero nuovamente insieme.
Ai monaci sarebbe andata decisamente peggio. Secondo la leggenda il primò dei tre morì colpito da un fulmine, mentre un altro affogò in un fiume. Il terzo venne azzannato da un lupo e trascinato via: riuscì a salvarsi soltanto invocando il perdono di Galgano. Da allora la spada riposa inviolata laddove il santo la infisse circa 840 anni or sono, protetta ad oggi da una teca in polimetilmetacrilato.
La Grande Abbazia di San Galgano, dallo splendore alla rovina
Intorno al 1200 il vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi promosse la costruzione di un monastero, che venne completato intorno al 1228. Fu però già a partire dal 1201 che risulta attiva la comunità di cistercensi che avrebbe poi guidato per secoli la Grande Abbazia di San Galgano.
Seguì un periodo di splendore e sviluppo per l'abbazia, che terminò durante la seconda metà del 1300. Verso il 1360 iniziò il declino della struttura, con i monaci duramente colpiti dalle pestilenze e dalle scorrerie di compagnie di ventura. Gli stessi monaci abbandonarono l'abbazia intorno al 1474 e si trasferirono a Siena dove avevano fatto edificare il Palazzo di San Galgano.
L'abbazia passò in seguito (primi anni del 1500) nelle mani scellerate di un abate commendatario, che ne vendette persino il tetto in piombo per ricavarne denaro. A poco valsero i tentativi di restauro fatti nel 1577. Le ultime parti delle volte crollarono nel 1781, mentre nel 1786 crollò il campanile (colpito da un fulmine). Qualche anno dopo (1789) venne sciolta e venduta come bronzo la campana, che pure era sopravvissuta al fulmine.
Dopo essere stata adibita persino a fonderia, la Grande Abbazia di San Galgano venne sconsacrata e ospitò per un periodo una fattoria.
A partire dalla fine dell'Ottocento l'interesse verso il monumeto riprese e intorno al 1924 partì un restauro conservativo, a opera di Gino Chierici, grazie al quale possiamo ammirare oggi i resti di questa magnifica costruzione.Foto spada nella roccia: Public Domain via Wikimedia
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