La pattumiera dell'umido va dimezzata. Ci buttiamo dentro di tutto, anche quello che potremmo ancora mangiare. A ribadire l'insegnamento (sacrosanto) è l'Agenda 2030 stabilita dall'Onu, cioè il programma che tutti gli Stati devono seguire per rendere sostenibile il Pianeta: nel giro di dieci anni dobbiamo essere in grado di recuperare più cibo ed evitare di riempire il frigorifero (e il cestino dei rifiuti) senza criterio.
Sono finiti gli anni del consumismo bulimico e iniziati quelli del sostenibile. Tanto che, per farci entrare ben bene il concetto in testa, sono state istituite ben due giornate contro gli sprechi alimentari: una fissata per il 5 febbraio e una seconda, internazionale, in calendario per il 29 settembre.
Ma c'è un dettaglio: forse non dovremmo essere noi cittadini gli unici destinatari della campagna riduci-rifiuti. Se ogni anno vengono gettati 5,2 milioni di tonnellate di cibo, non è solo colpa nostra che in casa sbucciamo in malo modo le patate, lasciamo seccare il pane o gettiamo la frutta non appena è un po' annerita. D'accordo la responsabilità individuale, ma gli sprechi sono (...)
(...) altri, su scala un po' più ampia. A dirlo sono i numeri. Nel 2020 è andato sprecato cibo per 9,7 miliardi di euro. Di questa cifra «solo» 6,4 miliardi sono imputabili ai nostri comportamenti casalinghi. Il resto, cioè 3,2 miliardi sono dovuti alla perdita di alimenti nella fase della raccolta nei campi, della distribuzione, della catena commerciale. Insomma, miliardi di euro buttati via, non milioni. Quindi, va bene la giornata anti spreco, va bene la sensibilizzazione sul tema ma il messaggio va passato anche alle aziende dell'alimentare e non solo ai cittadini.
DOV'È IL VERO SPRECO
A confermare la voragine di sprechi industriali è la Fao: un terzo degli alimenti viene sprecato o perso lungo la catena produttiva e circa la metà è frutta o verdura. Non solo, il 21% dello spreco avviene proprio nella prima fase, cioè la raccolta nei campi.
Noi siamo solo l'ultimo tassello di un domino fatto di cattive abitudini, «vittime» di scelte industriali. Sempre leggendo i dati Fao, emerge un altro elemento interessante: la metà della frutta e della verdura che gettiamo via è quella che acquistiamo nei supermercati. Ed è o troppo vicina alla data di scadenza (dopo un paio di giorni appena rispetto all'acquisto) o talmente a ridosso della deperibilità che andrebbe consumata seduta stante.
A ingannarci sono spesso le confezioni in cellophane, che non ci permettono di «analizzare» tutti i lati di peperoni, pomodori o arance che siano e ce ne mostrano solo la parte più intatta. Lucente e coloratissima, nascondendo le magagne. Per questo tra i consigli anti spreco, uno dei principi cardine delle organizzazioni salva-pianeta è: «Cambiate cultura, scegliete anche la frutta o la verdura un po' più bruttine». A trovarle. Perché nello scaffale dei supermercati siamo invece abituati, sempre di più, a carrellate di confezioni di fagiolini perfettamente allineati e della stessa misura e a broccoli assemblati in composizioni che sembrano degni della più patinata delle riviste.
Sarà dura, in soli dieci anni, sposare la cultura della verdura imperfetta (cioè naturale), quando contemporaneamente veniamo educati all'opposto: all'irreale, a quel food porn che viene bene nelle fotografie di Instagram ma che marcisce dopo due giorni dall'acquisto.
E pensare che se solo riducessimo del 25% il nostro cestino dell'umido, sarebbe possibile imbandire adeguatamente la tavola dei circa 4 milioni di poveri che in Italia, con l'emergenza Covid, sono costretti a chiedere aiuto per il cibo con pacchi alimentari o pasti gratuiti in mensa o nelle proprie case. Figuriamoci se anche la catena distributiva stesse un po' più attenta. «Tra le categorie più deboli dei nuovi indigenti - sottolinea la Coldiretti, autrice della ricerca - il 21% è rappresentato da bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi il 9% da anziani sopra i 65, e il 3% sono i senza fissa dimora secondo gli ultimi dati Fead (Fondi europei agli indigenti)».
IL PIANO SALVA CIBO
Andrea Segrè, ideatore della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare e direttore dell'osservatorio internazionale sugli sprechi Waste Watcher, ha lanciato una proposta per cambiare rotta. Sia nell'industria alimentare, sia nelle nostre case. Si tratta del Recovery food, «un laboratorio permanente di educazione alimentare e ambientale per la formazione dei cittadini e per la sensibilizzazione da parte degli enti pubblici e delle imprese».
In vista della scadenza del 2030, spiega Segrè, «dobbiamo non solo aumentare la sostenibilità del sistema, ma anche favorire la solidarietà, visto che la povertà alimentare è in forte crescita a causa della pandemia».
Serviranno quindi accordi di filiera che mettano in rete potenziali donatori di eccedenze e beneficiari con obiettivi e procedure ben definite e cogenti; l'attivazione di un sistema logistico e di conservazione sicuro, sostenibile e solidale; il coordinamento nazionale affidato a un Food Waste Manager capace di alimentare sinergie fra i tanti portatori di interesse da coinvolgere: ministeri (Salute, Welfare, Agricoltura, Ambiente, Sviluppo economico), città metropolitane e Comuni, la miriade di associazioni ed enti caritativi, le imprese della filiera agroalimentare: dalle aziende agricole alla ristorazione passando per l'industria e la distribuzione».
L'osservatorio è stato realizzato assieme alla società di ricerche di mercato Ipsos e sarà la sede dove si indagheranno le abitudini e i comportamenti in rapporto a cibo e sostenibilità degli italiani e degli altri cittadini del mondo.
L'EFFETTO COVID
Qualcosa di positivo già c'è: paradossalmente, durante la pandemia abbiamo consumato più pasti entro le mura domestiche ma abbiamo sprecato meno cibo. Cioè siamo riusciti a valorizzare gli avanzi senza destinarli al cestino. Il rapporto 2021 di Waste Watcher international, fotografa una netta diminuzione dello spreco alimentare domestico, con «solo» 27 kg di cibo sprecati a testa nel 2020 (529 grammi a settimana), 3,6 kg in meno all'anno rispetto al 2019, ovvero l'11,78% e 222mila tonnellate di cibo «salvato» in Italia per un risparmio di 376 milioni a livello nazionale, in un anno intero. In peso, nel 2020 sono andate sprecate, in Italia, 1.661.107 tonnellate di cibo in casa e 3.624.973 tonnellate se si includono le perdite e gli sprechi di filiera.
COME CAMBIARE ABITUDINI
Per migliorare ancora e sostenere la svolta green in Italia, Coldiretti ha predisposto un decalogo anti spreco con pochi semplici accorgimenti, a partire dalle abitudini di spesa. Fare la lista della spesa, leggere attentamente la scadenza sulle etichette, verificare quotidianamente il frigorifero dove i cibi vanno correttamente posizionati, effettuare acquisti ridotti e ripetuti nel tempo, privilegiare confezioni adeguate e non eccessivamente grandi, scegliere frutta e verdura con il giusto grado di maturazione, preferire la spesa a chilometro zero e di stagione che garantisce una maggiore freschezza e durata, riscoprire le ricette degli avanzi, dalle marmellate di frutta alle polpette fino al pane grattugiato. Ma anche non avere timore di chiedere la doggy bag al ristorante.
Senza dimenticare la partecipazione ad iniziative di beneficenza alimentare diffuse in tutto il Paese. A partire dalla Spesa sospesa dei mercati degli agricoltori di Campagna Amica: chi vuole può decidere di donare cibo e bevande alle famiglie più bisognose, sul modello dell'usanza campana del «caffè sospeso», quando al bar si lascia pagato un caffè per il cliente che verrà dopo.
Una via per evitare gli sprechi è anche internet.
Ad esempio, l'app Too Good To Go permette a bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati e hotel di recuperare e vendere online - a prezzi ribassati - il cibo avanzato. Un'alleanza virtuosa cui sono invitati a prendere parte enti, aziende e supermercati.
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