Sarà anche vero che il Sol dell'Avvenire ha preso le strane sembianze del Sole delle Alpi, e non si può non ammettere che la Rivoluzione ultimamente un po' russa, sì. Epperò signore e signori, pardon, compagne e compagni, la classe operaia è viva e lotta insieme a noi, il capitalismo è già fallito e solo i padroni non se ne sono accorti, e allora sursum corda, in fondo è (ancora) solo questione di tempo.
Benvenuti al primo congresso della Federazione della sinistra, unione per la forza (e per forza, ma vabbè) fra Rifondazione comunista e Comunisti italiani, gli ex fratelli poi divenuti cugini e ora ritrovatisi sotto un unico cartello in nome della lotta, di classe e per la sopravvivenza. Ancora si detestano, in verità, basta farsi un giro nella base per togliersi ogni dubbio. Ma ieri hanno applaudito, gli uni il leader dell'altro, Paolo Ferrero e Oliviero Diliberto, concordi nel dettare una linea unitaria, anzi meglio, la «grande offensiva» come l'ha definita il giurista che guida il Pdci. Eccola: portare voti al Pd per battere il nemico comune Silvio Berlusconi, ma poi restare fuori dal governo, perché tanto c'è poco da fare, sarebbero liti. In realtà, subito prima dell'applauso la platea ha trattenuto il fiato a quelle parole, in un incrociarsi di sguardi perplessi. Nessuno però ha avuto il coraggio di alzarsi e dire che il re è nudo e che diavolo è questa scelta suicida. E così tutti hanno applaudito. Batter di mani per Diliberto, che è stato nominato portavoce della Federazione in alternanza con Ferrero, mentre declinava la scelta rinunciataria: «Ai Democratici non chiediamo un patto di governo perché non ci sono le condizioni». Perché valla ad aprire una discussione, per dire, sul taglio ai finanziamenti alle scuole cattoliche: «Li facciamo cadere in una discussione a capo della quale non arriverebbero mai. E questo accadrebbe per molti altri temi». Ergo: facciamo campagna elettorale, e poi restiamo fuori dalla stanza dei bottoni.
In fondo, ha spiegato l'ex leader Pdci, la sfida è un'altra, ed è far passare almeno tre cosette, dai, solo tre: «Elevare a diciotto anni l'obbligo scolastico, aprire una battaglia seria per un fisco equo e contro il precariato del lavoro». Che, età scolastica a parte, è un po' come dire che bisogna impegnarsi per la fame nel mondo da tanto è vaga e condivisibile l'enunciazione, ma insomma nessuno ha fiatato, potenza della disciplina di staliniana memoria, chissà. Anzi, le mani si sono scorticate per Ferrero che avvertiva della necessità di dialogare con il Pd restando fuori da un eventuale governo di centrosinistra, arringando poi sull'urgenza di «ricostruire un movimento di lotta delle classi sociali subalterne per riconquistare i diritti, per rovesciare il capitalismo e per porre il problema della rivoluzione in occidente».
Nella sua analisi l'ex ministro Prc ha avvertito: «Questo liberismo è pericoloso e ci condurrà alla barbarie e un nuovo pericolo di guerra mondiale», ribadendo che «serve un intervento pubblico in economia perché questa è diventata la grande questione democratica. Non possono decidere tutto quattro padroni e quattro banchieri». Loro comunque, i comunisti, non si faranno «mettere nel museo», parola di segretario. Poi è partita «Bella ciao» e tutti a cantare.
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