L'ultima su "Jack the Ripper", non era uomo ma donna

Il 31 agosto 1888 iniziava la serie di delitti attributi allo "squartatore" perché, dopo aver ucciso le sue vittime, le faceva a pezzi

L'ultima su "Jack the Ripper", non era uomo ma donna

Erano le 3.45 del mattino del 31 agosto 1888, una donna è riversa a terra in un vicolo di Whitechapel, quartiere malfamato nel nord est londinese. La gola tagliata, profonde ferite all'addome e agli organi genitali. È l'inizio di una scia di sangue lasciata dietro di se da Jack the Ripper, ovvero «Giacomino lo Squartatore», che colpì almeno altre quattro volte prima di scomparire improvvisamente, come era apparso. Senza mai venire identificato. Sospetti tanti, qualcuno arrivò anche a lambire la famiglia reale inglese, Oscar Wilde e Lewis Carrol, ma certezze nessuna. Si ipotizzò persino potesse essere Mary Pearcey che ammazzò e tagliò la testa alla moglie dell'amante e alla loro figlia. Dubbi per altro alimentati nel 2006 quando, secondo un team di esperti, le tracce di Dna lasciate sulle lettere spedite dal vero Jack the Ripper sarebbero appartenute appunto a una donna.

Era dunque una notte di fine estate quando il «più famoso» serial killer della storia prese a colpire le sue vittime, tutte prostitute, uccise in maniera raccapricciante. La prima dunque fu Mary Ann Nichols, 43 anni, trovata poco prima della 4 di notte in Buck's Row, di fronte ad uno dei tanti mattatoi di Whitechapel. Appena una settimana dopo, l'8 settembre, Ripper aggredì poco distante Annie Chapman, 46 anni, sempre colpita alla gola. Ma questa volta l'assassino aveva inferto con particolare ferocia, i tagli e le mutilazioni erano più profondi rispetto al primo delitto. Spuntò un testimone che aveva sentito gridare una donna e una bambina che indicò una striscia di sangue, probabilmente lasciata dai macabri trofei che Jack aveva portato con se. La polizia cominciò a pensare di avere a che fare con un maniaco e credette di individuarlo in John Pizer, un ebreo proprietario di una bottega per la lavorazione del cuoio. Le accuse caddero ben presto, ma l'uomo fu trattenuto in carcere per timore la folla potesse linciarlo.

Poi, nel rapido volgere di qualche settimana, altre tre donne furono trovate uccise: Elizabeth Stride, Catherine Eddowes, il 30 settembre, e Mary Jane Kelly, ultima vittima certa del «mostro», l'8 novembre. Altre sei uccisioni infatti vennero poi attribuite al serial killer, ma con ogni probabilità furono solo suggestioni, perché le vittime erano state effettivamente uccise a coltellate, ma mancavano il taglio alla gola, l'accanimento e le mutilazioni.
In quei mesi giunsero a polizia e giornali oltre 600 lettere: qualcuno si autoaccusava dei delitti, altri indicavano amici e conoscenti, altri ancora formulavano ipotesi e prospettavano scenari. Tre però sembravano scritte da qualcuno ben informato. In particolare una cartolina arrivata il 1° ottobre annunciò un doppio delitto, appunto quello Elizabeth Stride, Catherine Eddowes ammazzate la sera prima. Ed erano tutte firmate da Jack the Ripper, nome con cui poi passò alla storia.

La polizia brancolava nel buio, l'opinione pubblica era inferocita, la stampa si sbizzarriva sulle motivazioni e l'identità dell'assassino. Jack colpiva solo prostitute, pertanto le indagini si orientarono verso persone che in qualche modo potessero aver subito qualche torto o qualche danno da una di loro. Come Jacob Levy, macellaio ebreo, dunque abile con il coltello, che aveva contratto la sifilide da una di loro. Si credette di averlo individuato anche in George Chapman, condannato e impiccato per avere ucciso le sue tre mogli. Ma con il veleno e senza mai infierire sui corpi. Poi fu la volta di William Bury che il 4 febbraio 1889 strangolò e fece a pezzi la moglie la moglie Ellen Elliott, ex prostituta. Il 10 febbraio andò alla polizia e disse che la moglie si era suicidata ma fu subito smascherato, arrestato. Durante il processo risultò avesse aggredito altre prostitute. Prima di salire sul patibolo, Bury ammise il suo delitto ma respinse con decisione di essere lui the Ripper.

L'incapacità della polizia di venire a capo dei delitti convinse una parte dell'opinione pubblica che l'assassino fosse in qualche modo protetto. L'ombra del sospetto cadde sull'eccentrico Oscar Wilde e poi sul malinconico Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Dodgson, autore di «Alice nel paese delle meraviglie». Qualcuno puntò ancora in più alto indicando addirittura Alberto Vittorio di Sassonia-Coburgo-Gotha, duca di Clarence, nipote della regina Vittoria, figlio del futuro Edoardo VII, in quel momento secondo in linea di successione al trono. Anche lui avrebbe contratto la sifilide da una prostituta. Un sospetto che ferì profondamente la famiglia reale che ancora negli anni Sessanta ribadì come fosse fuori Londra durante quelle tragiche settimane.

Infine, ultima sospettata Mary Pearcey che il 14 ottobre 1990 aveva ucciso Phoebe Styles e la piccola Phoebe Hogg, moglie e figlia di Frank Hogg, di cui l'assassina era innamorata. Mary infierì su si loro con inaudita ferocia, usando un attizzatoio per tramortirle e un coltello per farle a pezzi. La polizia sospettò subito di lei e andò a perquisire la sua abitazione. Non fu necessario, le pareti erano piene di sangue come le armi usate per il duplice delitto. Nonostante si sia sempre proclamata innocente, il 23 dicembre 1890 salì sul patibolo, come del resto aveva fatto vent'anni prima suo padre, anche lui condannato per omicidio. Per la ferocia dimostrata entrò «di diritto» nel novero dei possibili Jack the Ripper. Una teoria che ha ripreso quota nel 2006 quando gli esperti dell'università australiana di Brisbane hanno potuto esaminare il Dna ricavato dalla saliva sotto i francobolli delle lettere spedite dallo Squartatore.

Ebbene il loro responso è stato netto: la sequenza appartiene a una donna. Così, dopo oltre un secolo di dubbi, sospetti e supposizioni, invece che di «Giacomino lo Squartatore» ora dovremmo parlare di «Giacomina la Squartatrice».

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