C'è sicuramente del genio nell'anziano scrittore che riesce nell'ambizioso progetto di offrire al lettore la genuinità e spontaneità dell'adolescenza. C'è sicuramente del genio, quindi, nel Charles Dickens di «Grandi speranze». Più difficile, semmai, regalare spontaneità e autenticità a un personaggio che ha superato abbondamentemente i settant'anni quando lo scrittore che si cimenta nell'impresa è ben lontano dal traguardo degli anta. È il caso di Adam Thirlwell, inglese proprio come l'autore di «Canto di natale». Classe 1978, un passato da primo della classe a Oxford e un presente da redattore di un prestigioso trimestrale di arte e cultura come «Areté», Thirlwell è di nuovo in libreria con il suo secondo romanzo «La fuga» (edito da Guanda nell'efficace traduzione di Riccardo Cravero). Un romanzo che è innanzitutto la celebrazione di un grande personaggio letterario: l'avvocato inglese di origine ebraica Raphael Haffner. Il romanzo racconta l'ultima impresa di un grande seduttore. Un'impresa folle e romantica. A 78 anni, vedovo da poco più di un anno, Haffner decide di affrontare la sua ultima sfida come avvocato e come marito: e per questo si reca in una stazione termale dell'Europa centrale per reclamare dallo Stato ex comunista la villa requisita ai genitori della moglie durante la creazione e fortificazione della Cortina di ferro.
Il personaggio costruito da Thirlwell denuncia più di una somiglianza con i celeberrimi Alexander Portnoy e Nathan Zuckerman, partoriti dalla fantasia di Philip Roth. Come loro, Haffner deve affrontare amore, colpa, sesso e riscatto per venire a capo del suo groviglio esistenziale eternamente irrisolto.
Dopo lustri e decenni passati a tradire la moglie, ora il celebre avvocato in pensione (e vedovo) vuole infatti riscattarsi, dimostrando così a figli e nipoti di non essere l'uomo egoista, vanitoso, inaffidabile e immaturo che tutti quanti sembrano credere. Ma in realtà Haffner non apprezza la maturità, si sente ancora giovane e affascinante, ed è inesorabilmente attratto dalla decadenza. I suoi modelli sono gli imperatori romani, la spietata crudeltà di Tiberio, gli eccessi sfrenati di Eliogabalo; cerca le cose più alte in quelle più basse: nella lussuria, nella vanità, nella vergogna; in ogni vittoria intravede la sconfitta, nella più desolante umiliazione il trionfo. Ed è in questo la sua grandezza e il suo essere paradigma di un'epoca segnata profondamente dalla parola crisi (vuoi economica vuoi di valori morali).
L'ex seduttore diventa inetto (d'altronde la Trieste di Svevo non è poi così lontana dalla quinta di questa commedia) e la sua disponibilità all'avventura erotica non gli consente nemmeno di opporsi ai romantici approcci dell'insoddisfatta cinquantenne Frau Tummel e, soprattutto, alle degradanti fantasie della ventenne Zinka, cameriera intrarprendente dell'albergo che lo ospita.
Con il fortunatissimo romanzo d'esordio («Politics», pubblicato sempre da Guanda nel 2003) la «Fuga» condivide quindi un tema, il sesso, usato come pietra angolare delle debolezze umane.
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