L'ultra realista Yates e i suoi inferni domestici

A lungo ignorato anche negli usa, è il momento della riscoperta del grande scrittore di "Revolutionary Road". Ecco la sua più bella raccolta di racconti, datata 1981

L'ultra realista Yates e i suoi inferni domestici

«Non esistono adulti. Padri, madri, figli, mariti e mogli, ogni legame, sia esso verticale o orizzontale, è un racconto di nervi lacerati e ferite aperte». Questa la sintesi più vicina a descrivere Bugiardi e innamorati, la seconda raccolta di racconti di Richard Yates (Yonkers, 1926 – Tuscaloosa, 1992), del 1981, che segue di quasi vent’anni la precedente Undici solitudini (minimum fax, pagg. 300, euro 13,50) che è del 1962. Un’ennesima conferma di quanto la forma racconto sia congeniale a questo autore che, non solo attraverso i romanzi (come l’oggi finalmente celebre capolavoro Revolutionary Road, ma anche il meno noto Easter Parade), ha saputo dare voce ai turbamenti, all’inquietudine, al senso di vibrazione sottile di una generazione fatta da piccoli eroi di un «inferno» domestico. E dunque basterebbe prendere il primo splendido racconto di questa raccolta, forse il migliore, per capire perché Yates sia diventato col tempo un autore di culto: dimenticato per anni è stato riscoperto, come sottolinea Giorgio Vasta nella prefazione (che da sola vale già il prezzo di copertina), dal New York Times dopo anni di oblio editoriale. Tanto che molti scrittori in America (su tutti Michael Chabon e Tobias Wolff) si sono impegnati a diffondere le sue opere attraverso una serie di letture pubbliche. Sino alla consacrazione: la (ri)scoperta di Revolutionary Road, anche grazie all’enorme successo dell’omonimo film del 2008 diretto da Sam Mendes ed interpretato da Leonardo Di Caprio e Kate Winslet.
«Oh, Giuseppe sono tanto stanca», la prima storia, ha come protagonista il classico personaggio yatesiano (molto vicino al personaggio principale del romanzo, ancora inedito in Italia, A Special Providence): Helen, una madre divorziata, scultrice di statue da giardino ma totalmente priva di talento. Per la prima volta - è l’occasione della vita - le viene offerto di scolpire la testa del neo-eletto presidente Roosevelt. Attraverso questo semplice spunto, Yates sviluppa una trama fatta di esili ricordi ed equilibri leggerissimi, che si evolve attraverso molteplici episodi chiave, tante scelte, e altrettante possibilità di svolta. Il tutto visto attraverso gli occhi del figlio della donna, che ormai cresciuto ripensa a quegli anni, passati a giocare in giardino con la sorella: gli anni al Greenwich Village durante la Depressione, gli anni dello studio e di tutte le persone che lo frequentavano; un reporter del New York Post, un’altra madre divorziata, che faceva la segretaria ma coltivava il sogno di scrivere per la radio, un violinista ebreo-olandese...

È come se Yates scegliesse i propri personaggi direttamente dall’elenco delle pagine gialle. Sono vite comuni quelle che osserva con il distacco apparente di un entomologo. Vite che pochi, prima di Yates, avevano descritto e che, grazie a lui spingeranno alla stessa scrittura Raymond Carver e John Cheever.

Questi racconti sono molto distanti da quelli raccolti in Undici Solitudini (pubblicati nel 2006, sempre da minimum fax): se nelle Solitudini descrive col tipico occhio del narratore esterno la vita negli uffici di Manhattan, i fallimenti di aspiranti romanzieri, il precipizio esistenziale di donne frustrati, nelle sette novelle di Bugiardi e innamorati il materiale scelto dall’autore sembra essere molto più autobiografico, attingendo da una vita fatta di continui traslochi, genitori separati, due divorzi, tre figlie, rapporti burrascosi con editori e altri autori, come accade - ad esempio - con lo scrittore americano Andre Dubus, al quale portò via la donna, ci fece quasi una rissa, ma con cui visse anche una splendida amicizia e rapporto di stima, e a cui confidò per primo «il desiderio disperato di avere lettori».

Le vite degli altri sono, questa volta, le vite di Yates stesso. E così i temi di questi sette racconti sono proprio quei problemi familiari, il rapporto genitori-figli, l’esperienza dei soldati che tornano dalla guerra (Yates prestò servizio nell’esercito in Francia e Germania, verso la fine degli anni Quaranta), il fallimento dell’idea di matrimonio.

A dominare è soprattutto la voglia di evitare il presente e rifugiarsi negli anni sospesi dell’infanzia e della giovinezza. Tutto questo rende Bugiardi e innamorati più accomunabile ai romanzi dello scrittore di quanto non fosse Undici solitudini. C’è maggiore adesione alle storie. E il risultato è una serie di ritratti, a volte patetici e a volte comici.

Se Raymond Carver è stato in qualche modo l’erede dell’asciuttezza di Ernest Hemingway, Yates è certamente il depositario del senso luminoso del fallimento che investe tutte le opere della maturità di Francis Scott Fitzgerald («Non esistono secondi atti nella vita degli americani», scrisse quest’ultimo nei propri taccuini, ed è una frase parecchio yatesiana). E non a caso l'autore del Grande Gatsby echeggia anche nell’ultimo (e più lungo) racconto della raccolta - «Dire addio a Sally» - la storia di un romanziere che va a Hollywood per scrivere una sceneggiatura e che si vede proprio come un nuovo Fitzgerald. Ma è un fallimento. Yates stesso aveva cercato di lavorare come sceneggiatore nel 1962, lavorando a una riduzione cinematografica di Un letto di tenebre di William Styron. Hollywood in fondo è una patria anche del fallimento, oltre che del successo.

I personaggi più interessanti, però, restano le donne. Lucy ed Elizabeth, per esempio; la prima snob e la seconda con il vizio di bere, protagoniste di un altro racconto. Decidono di affittare insieme una grande casa, durante gli anni della Grande Depressione. E il tutto diventa un pretesto per parlare dei rapporti madri-figli e soprattutto della capacita delle donne di auto-distruggersi. Argomento di cui Yates sembra essere un esperto.


Attesa, smarrimento, sogni, delusioni, in una carrellata di ritratti che prevede anche l’assoluzione finale. Perché l’unico spiraglio è proprio questo perdono del quotidiano, e delle esistenze normali, delle vite senza trucchi, della fallibilità dell’uomo. Di cui Yates è cantore irrimediabilmente coinvolto.

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