Quel lungo viaggio di Pirsig sulle ali della "Qualità"

In un libro le riflessioni inedite dell'autore che contribuì a (re)introdurre in Occidente l'antica sapienza orientale

Quel lungo viaggio di Pirsig sulle ali della "Qualità"

Il mondo è fatto di quantità. La quantità c'era anche prima dell'invenzione della matematica, ma dopo aver inventato la matematica, e dopo averla applicata a tutto ciò che gli stava intorno, l'uomo si pose alcune domande: ora che tutto è misurabile, significa che tutto è uguale in quanto misurabile? E se tutto è misurabile, ogni cosa è un numero? E se tutto il mondo è una serie di numeri, significa che, in fondo, un sasso è uguale a un bue o che dieci uova di gallina sono uguali a dieci colpi di bastone? L'uomo non se la sentì di rispondere «sì» a queste domande: un mondo del genere gli sembrava troppo poco (un poco questa volta non misurabile). Allora si rimise a pensare, anzi a ricordare. E si ricordò di prima, di quando la matematica non c'era, e si disse che allora il mondo gli sembrava migliore, più vario, sorprendente, piacevole, pericoloso. Così l'uomo decise che la quantità non gli bastava più, che era ragionevole, giusto, necessario, quantomeno affiancare alla quantità la qualità.

Perché la qualità è nata prima della quantità, e questo lo sappiamo tutti per intuito, per natura, per il semplice fatto di essere uomini, anche se spesso, impegnati ad accumulare quantità, dimentichiamo la qualità. Dopo l'invenzione della matematica, ri-scoprire, ri-cercare, ri-fare la qualità è uno degli obbiettivi che l'uomo si è dato, quello più semplice, elementare addirittura, ma che viene messo in ombra dagli altri. Da qualche millennio l'uomo cerca la qualità con le arti, inclusa la filosofia, ovvero l'arte del pensare. È infatti piacevole trattare della qualità perché lei è la sorella bella, mentre la quantità è la sorella brutta, anche se indispensabile. Ma la qualità, della quale la bellezza è una fra le molte manifestazioni, è più che indispensabile: è inevitabile, ce la portiamo dentro.

Più o meno ragionava così Robert Pirsig (1928 - 2017) quando si mise a meditare sulla Metafisica della Qualità. E poi a scriverne. Prima, in Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (1974), e poi in Lila (1991). Ora Adelphi pubblica, a cura di Wendy K. Pirsig, la seconda moglie di Pirsig, alcuni suoi scritti scelti, con molti inediti, nel volume Sulla Qualità (pagg. 164, euro 14, traduzione di Svevo D'Onofrio, nelle librerie da martedì prossimo). E anche questa è un'operazione di qualità, oltre che opportuna per due motivi: primo perché la qualità in senso lato, non soltanto dei libri, è oggi più che mai soffocata dalla quantità, e secondo perché fa riemergere un autore dimenticato o, peggio, ricordato male. Ad esempio, molti dei necrologi (in gergo giornalistico: coccodrilli) pubblicati all'indomani della morte di Pirsig guardavano il classico dito e non la classica luna. Il tono era del tipo: ma quanto è bello andarsene a zonzo per l'America in motocicletta, e quanto è bello portarti anche tuo figlio adolescente, e quanto è bella la vita on the road. Insomma, ignoravano o dimenticavano che la benzina di Pirsig era proprio la qualità, sotto forma di Zen.

A portare Pirsig sulla strada della qualità furono tre traumi: il primo per una metà negativo e per l'altra metà positivo (i traumi possono essere anche positivi, e in quel caso ti lasciano inizialmente stranito, e successivamente diverso e migliore), il secondo positivo, il terzo negativo. Il primo trauma fu, tra il '46 e il '48, la trasferta nella Corea meridionale come soldato a supporto del governo militare statunitense, prologo alla guerra. «Quando le truppe arrivarono in Corea del Sud - scrive la signora Wendy nella Prefazione - e lui scese dal treno, vide una spolverata di neve sulle montagne circostanti così bella e strana, e che rifletteva una cultura così diversa, che ne rimase estasiato. Feci un giro lì intorno. Era come Shangri-La ricorderà anni dopo. Credo di avere pianto. Fissavo i tetti, chiedendomi che genere di cultura avesse potuto costruire tetti del genere. Quello fu il giorno in cui nacque il mio interesse per tutto ciò che riguarda l'Asia». Il trauma positivo fu nel '52, in India, quando studiò alla Banaras Hindu University di Varanasi. Nel '75 Pirsig, durante una conferenza al Minnesota Zen Meditation qui riportata, lo definì uno «shock culturale». Frequentò raramente le lezioni, visto che capiva poco e si annoiava molto poiché «il gergo della filosofia indiana è solo una proliferazione infinita di montagne e montagne di parole. Tutte avevano un significato, tutte erano strutturate, ma non erano qualcosa che io potessi assorbire...». Ma poi: «C'era un luogo in cui ero solito tornare giorno dopo giorno... a guardare il fiume, a fissare il vuoto, praticando a poco a poco e inconsciamente qualcosa di assai simile alla meditazione... Mi ero semplicemente fermato. Non c'era altro che disperazione intorno a me, così io sedevo e guardavo. Le persone sembravano percepirlo; si mostravano molto gentili con me. Erano pochi i giorni in cui qualcuno non si avvicinava e mi diceva: Ciao, ti vedo un po' perso o qualcosa del genere. Mi parlavano, mi invitavano a casa loro, così mi innamorai di quella gente. E imparai molte cose sull'India che non avrei potuto trovare in nessun libro di testo».

Il trauma negativo fu all'inizio degli anni '60, quando Pirsig entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici. Nel '62 venne ricoverato per schizofrenia al Downey Veteran Administration Hospital, Illinois, e curato con l'elettrochoc. Eppure, sotto quelle scariche che, detto volgarmente, puntavano a condurre il malato in una sorta di nirvana artificiale, lui non perse la lucidità, al contrario. Dagli appunti di quel periodo: «La qualità è una caratteristica del pensiero e dell'espressione che viene individuata mediante un processo non intellettuale ma intuitivo, e dato che le definizioni sono il risultato di un processo intellettuale rigoroso, la qualità non può mai essere rigorosamente definita. Ma ognuno sa cos'è». E ancora: «Il tipo di pensiero usato nelle definizioni adopera simboli di esperienze passate per rendere conto di esperienze nuove. La qualità è l'esperienza prima di essere simbolizzata». E soprattutto: «Lo scopo ultimo della ricerca dell'eccellenza è l'illuminazione. Al di là di essa non vi sono altri scopi, poiché si realizza emotivamente e intellettualmente che tutta l'esperienza è di uguale qualità». Come l'uomo antico dal quale siamo partiti, quindi, Pirsig capì (ricordò) che la quantità si misura, ma la qualità no, che la qualità si intuisce, non può essere definita né sintetizzata in simboli, è emozione che proviene dall'illuminazione.

In Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta e in Lila, il narratore che si occupa della qualità statica, ovvero pratica, materiale (viene da dire: la qualità quantitativa), cioè che bada alla durata delle cose tramite la loro manutenzione, è il signor Robert Pirsig. Ma c'è un altro narratore, un narratore di pensieri, e si occupa della qualità dinamica, ovvero bada alla crescita interiore finalizzata al nirvana. Questi è l'alter ego che Pirsig si è scelto e che chiama Fedro, nome scelto non certo a caso. Nel Simposio di Platone, parlando del dio dell'amore Eros, Fedro afferma che è il migliore degli dèi, perché è fonte di eudaimonia e di aretè per gli uomini. L'eudaimonia è la felicità, il benessere, e l'aretè è la capacità di assolvere al proprio compito e riguarda tutto, gli umani, gli altri animali e anche le cose. Eccolo dunque, l'anello di congiunzione fra la sapienza orientale e la sapienza occidentale che Pirsig ha ri-scoperto: l'aretè dei Greci è l'rta di cui trattano i Veda, vale a dire l'«ordine cosmico» che si ottiene quando tutti fanno ciò che devono fare. Aretè e rta sono la qualità.

Una volta colto questo aggancio, Pirsig ha buon gioco nel far seguire a cascata, delineando i tratti della qualità, i concetti di esperienza, dharma (ordine), rettitudine, codice etico, spiritualità, amore, Dio, Tao.

Scrive in una lettera del 9 dicembre 1992: «Tra il Tao e il dharma non scritto e la qualità non vedo differenze, e questa equivalenza potrebbe essere una sorta di stele di Rosetta per tradurre in un linguaggio scientifico il significato di certi testi orientali altrimenti imperscrutabili». La motocicletta del suo primo libro e la barca a vela del secondo lasciamole viaggiare a loro piacimento, e soffermiamoci a riflettere su queste parole.

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