da Venezia
Non è più aria di scontri frontali, con Müller che alludeva agli «scarti» di Venezia e Bettini che rispondeva per le rime. Ma continua la politica degli annunci, a base di comunicati tempestivamente diffusi e reazioni più o meno piccate. Così non sorprende che, intervistato da Liberazione sul confronto con Roma Müller scandisca: «Rondi allinizio pensava a una rassegna di anteprime internazionali. Ora, a guardare il programma, mi sembra abbia fatto una scelta riflettuta e ripiegato piuttosto su prime regionali». Tiè! Gian Luigi Rondi, in partenza per il Lido, dove approda oggi nella doppia veste di critico del Tempo e presidente del festival romano, sembra sorpreso. «Non faccio polemiche con Müller. Non so di che programma parli. Non lo conosco nemmeno io, ancora. Abbiamo solo annunciato alcuni titoli. Cosa significa regionali? Forse parla senza sapere. Se si riferisce a La duchessa e La banda Baader Meinhof effettivamente sono usciti nei rispettivi Paesi dorigine. Quindi saranno fuori concorso a Roma. Ma sono due film su cinquanta. E pensare che Marco lho pure elogiato sul Tempo, dopo la conferenza stampa del 29 luglio. Mi aspettavo una sua telefonata, non cè stata. Pazienza».
Daccordo, non ci sarà nessuna guerra. Però il presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha ironizzato: «Stia tranquillo Rondi, ciò che farà Venezia lo decide Venezia».
«Ho letto. Ma io non davo consigli. Mi limitavo a precisare una cosa ovvia. Lintestazione della Mostra parla di cinema darte, ad esso è consacrata; io punterò sul cinema spettacolo, con lo sguardo rivolto al grande pubblico. Se poi mi pigliano a pesci in faccia, fa niente. Continuerò a parlare bene di loro. Ho sostenuto e caldeggiato la conferma di Müller, è uno dei migliori, magari dopo di me. Per quanto mi riguarda, non esiste rivalità. Se vuole, posso citarle Esopo, la favola del lupo e dellagnello. Ricorda? Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Come posso fare concorrenza io a Venezia se arriviamo due mesi dopo?».
Di questo potrà giovarsi. Comè finita con W. sul presidente Bush?
«Il film di Stone va al festival di Londra, quasi negli stessi giorni, a questo punto non lo vorrei di certo».
A proposito di pesci in faccia, ha visto cosa scrive Citto Maselli sulla contestazione del 68? «Rondi oggi è amico di tutti, ma allora era il nostro diretto, ufficiale e istituzionale avversario».
«Conoscevo suo padre Ercolino, sua sorella Titina. Considero Maselli un amico, un grande autore. Certo, nel 68 stavo con Luigi Chiarini (il direttore contestato che alla fine si dimise, ndr), fino a prova contraria un uomo di sinistra, iscritto al Psi. Non ero io il nemico, erano loro, Maselli, Bertolucci, Pasolini e gli altri, i nemici della Mostra. Quando nel 1971 il presidente del Consiglio, Emilio Colombo, mi chiese di rimettere in piedi la Mostra, accettai. Furono due anni duri, poco divertenti, avevo contro metà cinema italiano. Con me, però, cerano Blasetti, De Sica, Fellini, Zurlini, Zeffirelli, Visconti. Mi sostennero a spada tratta, riuscimmo a far venire, per la prima volta, un film cinese, Il battaglione rosso femminile. Nel 73, con Fanfani presidente del Senato, mi sono dimesso per permettere di riscrivere lo Statuto».
Poi sè rifatto. Direttore della Mostra dal 1983 al 1986, più tardi presidente della Biennale.
«Ecco, vede. Io a Venezia mi sento a casa, i gondolieri mi riconoscono. Dopo 60 anni ci si lega a un posto. Sempre allExcelsior, dal 48. Ora vado a fare il critico, molto ben disposto, specie verso gli italiani. Il mio amato Pupi Avati lo invitai tre volte in quattro anni. Ma sono molto curioso di vedere i film di Özpetek e Bechis. E di Corsicato, un vero enfant terrible».
Wenders presidente di giuria: non le pare un po bollito?
«Questo lo dice lei.
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