Tra le persone più sensibili e preparate sullo spirito siciliano, le tradizioni, i costumi, come se avesse letto, più di ogni altro, i testi fondamentali e dimenticati di Giuseppe Pitrè e di Antonino Uccello, c'è, rara e innamorata, Luisa Beccaria, signora del Borgo di Castelluccio, vicino a Noto. Siciliana vera, come fu milanese Stendhal.
Fu lei, qualche sera fa, durante una cena di preziosa e semplice eleganza, a dirmi che il 10 agosto, a Palazzolo Acreide, si sarebbe svolta la festa religiosa più emozionante e autentica di tutta la Sicilia. Mi sembrò una esagerazione, essendo le tradizioni popolari radicate, con esiti multicolori e persistenti, in molti luoghi di Sicilia, e con grande impegno e ampia e sentita partecipazione. Viste e vissute, in un misto di entusiasmo ed esaltazione, come la processione di Sant'Agata a Catania, con le variegate luminarie e i «cannalori», carri allegorici che rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri della città. Sono grosse macchine in legno riccamente scolpite e dorate, costruite generalmente nello stile del barocco siciliano, per contenere al centro un grosso cero. Questi imponenti ceri, fra i 400 e i 900 chili, vengono portati a spalla da un gruppo di uomini che li fa avanzare lentamente con un'andatura caracollante molto caratteristica, detta «a 'nnacata». Sono tre emozionanti giorni di processioni, dal 3 al 5 febbraio, con le strade pavimentate di cera. Notti lunghissime e indimenticabili, anche amorose, che io ho cercato per anni di non perdere.
A Palermo, il festino di Santa Rosalia non è da meno, la notte del 14 luglio, quando i festeggiamenti giungono all'apice: una grande «processione popolare», partendo dalla Cattedrale, avanza lungo l'asse viario del Cassaro fino al mare, passando attraverso Porta Felice, secondo un percorso ideale dalla morte (la peste) alla vita (la luce dei fuochi d'artificio in riva al mare). Tra musiche, canti e varie coreografie, viene trainato un carro grande trionfale (a forma di barca), nuovo di anno in anno, che porta una statua della santa, anch'ssa sempre nuova ogni anno. Ai Quattro Canti vi è un momento rituale in cui il sindaco depone fiori ai piedi della statua della Santa, gridando «Viva Palermo e Santa Rosalia!». E poi, alla Marina (zona del Foro) ha luogo un grande spettacolo pirotecnico. Accompagnano la processione canti di devozione in rima.
In molte altre città si celebra la festa del pane. A Salemi si svolgono, a partire dal 19 marzo, le cene di San Giuseppe. I pani si presentano nelle più svariate forme. I temi rappresentati sono quelli della tradizione cristiana, come il pesce, o i simboli della Pentecoste, la scala, la tenaglia e i tre chiodi. Oltre a questi le altre forme si ispirano alla natura. La famiglia devota che offre la cena deve preparare un pranzo di 101 pietanze, per lo più a base di cereali, verdure, frutta, pesci e dolci in grande varietà. Dopo la celebrazione del rituale della benedizione dell'altare e dei pani, il cibo è offerto ai bambini, che rappresentano la «Sacra Famiglia», e ai visitatori che hanno assistito alla «mangiata di li santi». Gli Altari, costruiti per l'occasione, sono una delle massime testimonianze artigianali della Sicilia. Queste mense, riccamente imbandite e decorate con i pani minuziosamente modellati in forme diverse, vengono allestite su una struttura in legno o in ferro con colonnine portanti, di canne intrecciate, che convergono in alto formando un tetto a cupola; l'architrave e il fregio frontale completano l'impalcatura, che viene interamente ricoperta da ramoscelli di alloro e di «murtidda» odorosa (bosso), motivi ornamentali che hanno un significato propiziatorio. Ultimata la struttura, vi si appendono, a decorazione, piccoli pani artisticamente lavorati, secondo un ordine ben definito, e arance e limoni appena colti.
Fu entusiasmante per me scoprirle, e partecipare, durante il mio orgoglioso mandato di sindaco, anche al rito delle cento portate condivise con i bambini del paese. In quella occasione, prossima alla Pasqua, scoprii un'altra festa indimenticabile: quella di San Biagio Platani. La Festa degli Archi vede le due confraternite, rispettivamente «Madunnara», con sede nella Chiesa Madre, e «Signurara», con sede nella Chiesa del Carmine, celebrare l'incontro del Cristo Risorto con la Madonna sua Madre. Il grandioso e meraviglioso apparato scenico si rispecchia nell'arco trionfale che, nell'architettura basilicale, rappresenta il limite, la soglia di passaggio dalla navata centrale al presbiterio, dove si celebra il rito sacro del trionfo della vita sulla morte, della rivelazione del Mistero nella Resurrezione. Questo cerimoniale si svolge nel momento dell'anno in cui la natura, con un'esplosione di profumi e colori, nella Valle dei Sicani, accompagna il risveglio della primavera. Gli Archi prendono forma da una fusione di prodotti della natura: un'architettura di frutti, essenze, odori che il popolo contadino offre a Cristo vittorioso. Il pane, anche qui, è l'elemento decorativo essenziale, con manipolazione sapiente di canne, salici, ramoscelli di ulivo, rosmarino, alloro, arance, costituendo cattedrali, colonnati, cupole. Pane, uova, zucchero, prima reali che simbolici, mandorle, spighe, granoturco, datteri, fiori e legumi sono i materiali che mani sapienti e virtuose trasformano in «nimpe» e mosaici con effetti spettacolari. Tanto straordinarie sono queste feste del pane che le ho volute alla Biennale di Venezia nel 2011.
Quest'anno ho ripreso la mia frequentazione delle feste religiose di Sicilia, a Scicli, contribuendo a far uscire il «Gioia», l'Uomo vivo, il Cristo risorto che forze contrarie volevano tener chiuso nella chiesa di Santa Maria la nova, per restrizioni sanitarie, impedendogli la taumaturgica azione liberatoria. Una grande, entusiasmante festa di popolo.
Come potevo, dunque, aspettarmi qualcosa di più a Palazzolo, seguendo l'appassionato suggerimento di Luisa? Aveva ragione. Intanto Palazzolo è città di due patroni. Le due feste concorrenti, San Paolo il 29 giugno e San Sebastiano il 10 agosto, sono una esplosione, un trionfo potente, un orgasmo di popolo che si accende all'improvviso, dopo lunghi preparativi e una breve attesa. Il popolo è in piazza, davanti alla chiesa, per vedere uscire il santo, nell'ora più calda del mese più caldo. Tutto era tranquillo, al mio arrivo. Mi aspettava Paolo Sandalo, orgogliosamente paolino, per accompagnarmi dal sulfureo sindaco, Salvatore Gallo, irriducibile paolino, pronti a festeggiare il patrono del rione rivale. Ma la festa prevale. È imperdibile e travolgente, e dura lo spazio di un ciclone, la «sciuta» (l'uscita) della reliquia e del Simulacro di San Sebastiano. Annunciati dal suono delle campane, i due artistici fercoli, sotto una pioggia multicolore di migliaia di «nzareddi», lo sparo di bombe, il suono delle bande e l'offerta di bambini nudi, avanzano lungo il perimetro della piazza, sorretti a «spadda nura» dai portatori e seguiti dalle devote del «viagghiu scausu» e dalla folla dei fedeli. Chi assiste, senza potersi muovere, è assalito dal lancio di migliaia di «nzareddi» (striscette di carta multicolori), al suono delle bande impazzite. A seguire, l'emozionante «Catena Umana» lungo la salita di via Fiumegrande. Poi, dopo pochi minuti, finisce la tempesta e tutto si ricompone.
In quel breve tempo si scatena una energia che non ha l'eguale, e ne sei travolto e rigenerato. Di tutte le feste di Sicilia è la più rapida e frenetica, la più colorata e, nello spirito, violenta, come la forza del santo che fa miracoli e distribuisce grazie. La città vibra, nel silenzio delle chiese vuote, dove un tempo trionfava l'Annunciata di Antonello da Messina, misteriosamente sottratta da Santa Maria Annunziata per essere affidata al museo di Palazzo Bellomo di Siracusa. Ne trovi consonanza di ritmi nel tripudio di Palazzo Judica-Cafici, sotto una balconata sorretta da 27 mensoloni, con mostri di pietra, vari e beffardi, considerata la più lunga al mondo. Nella stessa via Garibaldi ti attende la antica farmacia con i mobili neogotici intagliati, e il solo satiro femmina conosciuto. Da ragazzo vidi nascere, or sono cinquant'anni, la versatile casa museo di Antonino Uccello, prima poeta che antropologo; e ora trovo un singolare museo delle tradizioni nobiliari, concepito su lacerti di antichi palazzi, con le sapienti cuciture di Alessandro Fiorentino.
Si contendono il primato, oltre l'area archeologica di Akres, con il Teatro e i ditirambici Santoni, la imperdibile pasticceria Corsini di Sebastiano Monaco, con 150 anni di storia, da cui, fra cannoli e semifreddi, escono inattese salsicce orgiastiche rapite da Paolo Colosa; e la più bella scultura di Sicilia, timidamente appartata, la Madonna con il bambino di Francesco Laurana, che ci aspetta nella Chiesa dell'Immacolata, resistente sorella della Annunciata di Antonello. Che Dio la protegga, per la felicità che ci dà e che ci darà. A Luisa e a tutti noi.
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