«Madre Coraggio» allo Strehler L’ossessione della sopravvivenza

Maddalena Crippa protagonista dello spettacolo in scena al Piccolo Teatro

Igor Principe

Suggerimento per un gioco domenicale: collegatevi a internet, andate su Google (il motore di ricerca più utilizzato in rete) e digitate «madre coraggio» nell'apposita casella. Pigiate il tasto «invio» e attendete quegli 0,35 secondi necessari affinché sullo schermo appaiano i primi dieci di 1 milione e 20 mila risultati disponibili. Quindi, scartate i link in cui si parla di Madre Coraggio e i suoi figli, celeberrima pagina del teatro di Bertolt Brecht, e analizzate gli altri: in quasi tutti, i due termini ricercati appaiono come sinonimo di forza, virtù, determinazione. Coraggio, appunto. E in nessuno che non sia correlato ad argomento teatrale si scopre l'idea originaria di Brecht, impregnata di amara ironia.
«Brecht immaginò un personaggio negativo e ne scelse il nome in chiave smaccatamente ironica», dice Robert Carsen, regista dello spettacolo (al teatro Strehler dal 12 gennaio al 26 febbraio). «Madre Coraggio non ha niente di coraggioso - prosegue -. È una sopravvissuta, e non si chiede mai se sia sensato sopravvivere in un mondo di guerra, com'è quello in cui vive. Agisce in un modo che sottolinea il conflitto come frutto di relazioni economiche, poiché lei medesima è mossa dalle stesse ragioni. È una nichilista ossessionata dalla necessità di sopravvivere».
Rimanendo in ambito filosofico, si può dire che la figura della protagonista - in scena, è Maddalena Crippa - abbia subito un'«eterogenesi dei fini»: Brecht ha proposto un'idea negativa, le platee e l'opinione comune l'hanno trasformata in positiva. E forse, la colpa è anche un po' dell'autore. «Lui non voleva né commuovere né stimolare un'identificazione tra il pubblico e la protagonista - spiega Carsen -. Insomma, non voleva farne un'eroina. Ma dopo la prima rappresentazione si accorge che tutto ciò si è puntualmente verificato. Allora ha riscritto il testo cercando di annullare ogni possibile stimolo per emozioni. Ma non ci è riuscito. Madre Coraggio esprime un istinto di sopravvivenza così forte da vincere il suo stesso autore. Non riesci a non esserne coinvolto».
Le vicende della vivandiera Anne Fierling e dei suoi tre figli Kattrin (Stefania Guliotis), Eilif (Tommaso Minniti) e Schweizerkaf (Tommaso Onofrietti) rivivono sul palco dello Strehler in una veste scenografica che rimanda alle guerre del Novecento e non a quella dei Trent'anni, contesto originario della storia. Operazione di rilettura consueta, nel fare teatro: un'attualizzazione che, nella visione di Carsen, sottende l'idea ricorrente secondo cui, allora e oggi, a scatenare una guerra siano biechi motivi economici. Non meno interessanti, però, sono altri due aspetti su cui il regista ha lavorato molto.
Primo, il linguaggio. «Gli attori parlano una lingua dura, frettolosa - spiega il regista -. La definirei una lingua dell'urgenza. Ho cercato di rendere l'italiano, idioma musicale per antonomasia, con le durezze del tedesco brechtiano». Secondo, la musica. Elemento che Carsen manovra con la consumata esperienza di regista lirico (in anni recenti, il suo grande successo è stato l'allestimento del Dialogo delle carmelitane di Poulenc, in scena alla Scala nel 2000), e che in Madre Coraggio unisce i brani originali di Paul Dessau a riletture degli stessi in chiave contemporanea. Come quella che i Marlene Kuntz fanno di Fermate i tamburi.
«Brecht, in questa stagione, riparte dal Piccolo - dice Sergio Escobar, direttore del teatro -. Abbiamo voluto consegnare parte della nostra identità nelle mani di un regista cosmopolita, che si misura per la prima volta con un'opera brechtiana.

Carsen è a suo agio con i diversi linguaggi della scena, sintetizza come pochi musica e gesto. Sa lavorare sul contemporaneo e ha una visione del futuro del teatro. Ci sono, insomma, i tre piani di quella "memoria del futuro" cui si ispira il lavoro recente del Piccolo».

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