La Cassazione su Davigo: al Csm si sentiva onnipotente

Le motivazioni della condanna dell’ex pm per i verbali della loggia Ungheria

 La Cassazione su Davigo: al Csm si sentiva onnipotente
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Prese la strada sbagliata. E quella strada l'ha portato a sbattere contro una condanna definitiva. Per rivelazione di segreto d'ufficio. Oggi Piercamillo Davigo (foto), icona dei giustizialismo italiano, può leggere le poderose motivazioni che la sesta sezione della Cassazione dedica a lui e alla sua sciagurata condotta.

Il pm Paolo Storari, che aveva raccolto le esplosive dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara e si preoccupava perché il procedimento languiva, si rivolse a lui e gli consegnò quei verbali. Che il Dottor Sottile di Mani pulite come un pasticcione qualunque fece vedere a diverse personalità.

Davigo si fidava troppo di sé. E delle proprie prerogative di consigliere del Csm. Dunque si incamminò su un sentiero scivoloso e alla fine ruzzolò giù con un comportamento che ora viene bacchettato: «Storari, nel promuovere l'incontro con Davigo, lamentava a monte l'inerzia mostrata dal suo ufficio rispetto all'esigenza di una pronta iscrizione delle notizie di reato oggetto delle dette propalazioni». Questa è la premessa del meeting carbonaro fra i due, ma quella premessa portava a conclusioni errate: «Il formale coinvolgimento in un'indagine di soggetti appartenenti alla magistratura e, in conseguenza, la possibilità di ritenere il Consiglio superiore interessato, nei suoi risvolti istituzionali, alle vicende narrate da Amara, già sul piano logico presupponeva dunque uno sviluppo progressivo del relativo incidere procedimentale non solo inattuale in quel momento - tant'è che se ne stava lamentando il ritardo - ma anche eventuale. Perché rimesso alle discrezionali scelte valutative degli inquirenti».

Insomma, il Csm era fuori dal perimetro dell'inchiesta e anche solo questo sarebbe bastato a sconsigliare gesti avventati, anzi temerari, come il passaggio di mano di quei pirotecnici verbali che descrivevano la fantomatica e potentissima loggia Ungheria, in realtà come poi si è capito una costruzione fantastica.

Davigo non aveva titolo per ricevere quei verbali, il Csm e i suoi consiglieri non sono onnipotenti, come sosteneva il magistrato che si poneva al disopra del segreto investigativo.

Davigo rassicurò Storari sulle sue prerogative di consigliere, ma si sbagliava. E la Suprema corte sottolinea «l'assoluta distorta logica della scelta di Storari di contattare informalmente Davigo per così veicolare al Csm la tematica sottesa agli ostacoli asseritamente frapposti al rapido incedere delle indagini».

D'altra parte Storari era supportato dal «comportamento rassicurante di Davigo, dall'alto della posizione all'epoca rivestita, oltreché in ragione di una incontroversa autorevolezza acquisita nel tempo grazie al suo percorso professionale».

Ma Davigo sbagliava e il suo curriculum non garantiva una sorta di immunità. Storari avrebbe potuto e dovuto rivolgersi al Procuratore generale presso la corte d'appello di Milano. Ma si recó da Davigo che poi distribuì a destra e sinistra quelle carte coperte da segreto.

Mostrandole, fra gli altri, al vicepresidente del Csm David Ermini e al senatore grillino Nicola Morra. Per la diffusione di quei fogli, coperti dal segreto, l'ex pm andrà incontro a un appello bis nei prossimi mesi. Storari invece è stato assolto proprio perché riteneva Davigo una toga di grande caratura.

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