"Toti sottoposto a un ricatto: se non ti dimetti, non esci. È una forzatura inaccettabile"

L'intervista Il leader di Azione: «Ho visto rovinare la vita a troppi governatori, anche se finiti assolti»

"Toti sottoposto a un ricatto: se non ti dimetti, non esci. È una forzatura inaccettabile"
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Carlo Calenda, lei ha definito «una brutta pagina per la democrazia» le dimissioni del governatore Giovanni Toti. Perchè?
«Toti è un mio avversario, politicamente. Ma non si può non vedere quel che è successo. É stato sottoposto a un chiarissimo ricatto: se non ti dimetti non esci. Mi sembra una forzatura del tutto inaccettabile, indegna di uno Stato di diritto: per la Costituzione, Toti come tutti i cittadini, eletti o meno, è solo un indagato, innocente fino a condanna definitiva. Dovrà andare a processo, quando ci sarà, ma è anche stato eletto dai cittadini per governare la Liguria, e tenerlo agli arresti glielo ha impedito. Si è dovuto dimettere perchè non aveva altra scelta, a questo punto».

Non è certo la prima volta che accade, in Italia.
«Purtroppo no. Ho visto la vita di tanti governatori rovinata dalla stessa trafila: accuse, arresti, dimissioni.
Poi magari vengono assolti in primo e secondo grado, come è successo in Basilicata a Pittella, e nessuno paga per il danno subito dalle istituzioni e dai cittadini. Mai. Abbiamo compilato un dossier alto così, con i casi di 150 sindaci indagati per abuso d’ufficio e spesso per questo costretti a farsi da parte: 150 inchieste che poi sono finite nel nulla cosmico, ma intanto sono state utilizzate per fini politici. Di fronte a questo non è accettabile che destra e sinistra non difendano i principi cardine dello Stato di diritto, se non saltuariamente e solo per i loro».

Che idea si è fatto del caso Toti?
«Dalla vicenda ligure sembrano emergere profili di conflitti di interessi che sono quanto di più estraneo alle scelte di Azione: noi non accettiamo contributi elettorali da nessun ente o concessionario pubblico, io come parlamentare rifiuto compensi per consulenze o simili. Ma un conto sono etica e opportunità nei comportamenti, un altro le inchieste penali».

Toti doveva rimanere?
«Avrebbe dovuto poter governare fino alla eventuale condanna. Possiamo considerare esecrabile accettare soldi da coop o concessionari, ma è consentito dalla legge. E li prendono tutti, a destra come a sinistra: provate a leggere gli elenchi di contributi ricevuti da ogni candidato governatore. Invece si decide arbitrariamente chi indagare e chino, e questo è inaccettabile. E poi che succede, se come penso Toti verrà assolto? Chi spiegherà ai cittadini che lo hanno eletto che il loro diritto è stato violato? Chi pagherà per la sua vita rovinata?».

Il centrosinistra è andato fino in piazza a Genova a reclamare le dimissioni.
«Quello del centrosinistra è solo tatticismo elettorale senza prospettive. Non capiscono che così segano il ramo dello Stato di diritto su cui sono seduti anche loro. Mi rifiuto di accettare questo imbarbarimento per cui si usano le inchieste come fondamento del confronto politico».

Ora si andrà a nuove elezioni in Regione: voi come vi muoverete?
«Noi siamo stati all’opposizione di Toti. Ma non accetteremo candidati imposti, né programmi che non siano estremamente seri, a cominciare dal completamento dei progetti di infrastrutture indispensabili alla Liguria che Toti e il sindaco di Genova Bucci hanno portato avanti. Nessuna ipoteca grillina».

Vi unirete al campo largo?
«Il “campo largo” non esiste: non ha posizioni comuni su nulla, dall’Ucraina alla Ue, come si è visto sul voto a Ursula von der Leyen, né su ambiente, lavoro, infrastrutture, investimenti. L’unico trait d’union è il “no alla destra ladra e fascista”: ma questo non può essere un programma di governo. C’è un vuoto di consapevolezza della gravità del momento, da entrambe le parti».

Cosa intende?
«Non si può andare avanti così: serve un’area repubblicana e europeista di governo che affronti pragmaticamente i problemi su cui l’Italia rischia di saltare per aria.

Dalla questione siccità, che si ripropone da anni ma intanto restano 2500 società-poltronificio pubbliche che gestiscono una rete che perde il 42% del flusso idrico. Alle pensioni, per pagare le quali tra poco serviranno 20 miliardi l’anno.
Mentre nessuno ne parla, e destra e sinistra pensano solo a urlarsi addosso.
Basta».

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