Il MAGO DELLA REGGIA

Visto che il governo ha sede a Roma la scampagnata che hanno fatto a Caserta avrebbero potuto farla ai castelli. Era più vicino, costava meno e i frutti forse sarebbero stati migliori. Perché si sono ritirati un giorno e mezzo? Per capire, guardandosi negli occhi, che ormai il livello di litigio e di disaccordo è tale che se non si danno una calmata vanno presto a casa? Questo è quello che è emerso.
Come i lettori sapranno il governo è stato mercoledì e ieri a Caserta per tentare di fare quello che si fa generalmente alle macchine ogni tanto: il tagliando. Il problema è che questo tagliando riguarda solo ed esclusivamente i rapporti tra di loro. Nulla o quasi gli italiani o meglio, ciò che sta a cuore agli italiani.
Dall'incontro, naturalmente, è uscito uno scritto, il «Documento di Caserta», nientepopodimeno, ed è composto da dieci punti-guida. Vogliamo subito tranquillizzare i lettori: non c'è nulla di peggio di quanto era già stato scritto nelle duecentosettantasei pagine del programma del centrosinistra. Si tratta solo di un bigino.
Solo per fare un esempio nel documento è scritto che «solo attraverso una robusta e duratura crescita della ricchezza prodotta dal Paese è possibile infatti: completare l'azione di risanamento, proseguire nella coesione della società italiana e, infine, colmare i divari di sviluppo e di qualità della vita». Giudichino i lettori sull'originalità di questi obiettivi e se c'era bisogno di un giorno e mezzo con tutti i ministri e tutti i leader del centrosinistra per partorire queste originalissime e geniali intuizioni.
Dopo questa enunciazione seguono le direttrici concrete tra le quali ne vogliamo prendere una, la numero 9: «Ricerca di una maggiore equità sociale ed intergenerazionale con la piena valorizzazione della famiglia, dei giovani e delle donne». Ma cosa ne dicono i signori del governo se, visto che si parla di giustizia intergenerazionale e di giovani, si partisse ad esempio dalle pensioni che se non vengono riformate i giovani rischiano di non vederne neanche l'ombra? Diciamo questo perché sul punto specifico l'accordo a Caserta non c'è stato. O meglio c'è stato l'accordo di oltrepassare ampiamente il 31 marzo, data entro la quale si sarebbero, appunto, dovuti mettere d'accordo. Sulle pensioni nel governo non ci sono solo delle variazioni sul tema, ci sono dei veri e propri temi diversi e difficilmente conciliabili tra di loro. Questo è il motivo per il quale la riforma viene rinviata. Non c'entra un bel nulla quello che hanno detto il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, quando hanno affermato che non c'è nessuna fretta perché il sistema non è allo sfascio. Ne hanno parlato con tutti gli istituti di ricerca che da anni sostengono il contrario?
Cosa vuol dire, poi, che il governo deve «proseguire nella coesione della società italiana»? Vuol dire continuare a tentare di mettere insieme quel pezzo della società italiana che li ha fatti «vincere» le elezioni? Perché, ad oggi, il governo si è occupato della coesione sociale di coloro che lo hanno votato e lo ha fatto anche malamente visto che molti di essi si sono pentiti di averlo fatto.

Dell'altra parte, per esempio quella che il 2 dicembre scorso si trovò in Piazza San Giovanni a protestare contro la Finanziaria, questo governo, nel migliore dei casi, non se ne occupa, nel peggiore la sberleffa.
Dopo Caserta sarebbe opportuno che il professor Prodi, quando parla del bene comune, da ora in poi, dicesse il «nostro bene comune», quello del centrosinistra, perché in Campania di quello si sono occupati.

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