Le manovre dei tassisti lasciano Monti a piedi

Le manovre dei tassisti lasciano Monti a piedi

di Per loro, la manovra continuerà ad essere soltanto una banalissima mansione del lavoro quotidiano: freccia, retro, parcheggio. Quella di Monti, che sta seminando lacrime e depressione in tutte le categorie sociali, non li riguarda già più. Se n’è parlato, ci hanno provato, ma alla fine anche lo spietato governo dei prof ha dovuto alzare le mani e arrendersi. Avversario troppo forte, match impari. Vincono i tassisti, nel solito modo: per lancio della spugna.
Che grande Italia. Stanno cadendo i parlamentari, che nonostante l’eroica resistenza sono ormai allo stremo delle forze, pronti ad accettare l’onorevole concessione dei tagli, però fatti da sé, stanno cadendo farmacisti, scudati ed evasori (forse, chissà), stanno rassegnandosi a perdere qualcosa tutte le più indomite corporazioni della nostra storia repubblicana, ma loro no, i tassisti ancora una volta trionfano. Liberalizzare il settore, aprire a nuovi mezzi e magari pure a nuove tariffe? Non se ne parla nemmeno. Cioè: parliamone pure quanto vogliamo, purché nessuno tocchi niente. Dopo Bersani, prova Monti: apprezzabile l’impegno, ma i tassisti lasciano a piedi tutti e due.
Questa del «trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea», secondo la grandiosa definizione della nostra burocrazia, è di fatto una leggenda italiana. Già il tassista come personaggio, in ambito mondiale, è una leggenda di suo. In altri luoghi è un poveraccio dalla dolorosa storia personale, un vero uomo di strada che soltanto per puro caso si ritrova motorizzato: persino a New York capita di ritrovarsi al volante un tizio sudato, barba incolta, che mastica gomma e pronuncia solo due parole a fine corsa: «Ten dollars». Da noi, il tassista ha un preciso ruolo istituzionale e una professionalità unica. Il nostro è uno che la sa lunga, di un sapere universale, pronto a spaziare senza problemi dalla politica, al calcio, alla televisione, alla musica, alla religione, alle femmine («Amvedi quant’è bbona questa al semaforo, eh dottò?»). Di più. Il nostro è fondamentalmente un analista di pronto intervento, capace sui due piedi di trovare i rimedi giusti alle macerazioni interiori più remote e insondabili del passeggero. Non parliamo poi della sua generosa disponibilità a diventare fedele confidente: in una corsa appena appena, mettiamo Malpensa-Cordusio o Capodichino-Castel dell’Ovo, quest’uomo è capace di trasformarsi nel confessore di vip e dive, custode di verità tombali che rivelerà soltanto a un ristretto giro di tre-quattromila persone fidatissime.
E allora: vogliamo davvero considerare il tassista italiano uguale ai colleghi che formicolano nelle metropoli del mondo? Il servizio è servizio: va pagato il giusto. È per questo che loro si battono da sempre: per tenere alto il livello. E pazienza se in certi orari, in certe strade, ci capita di aspettare ore, peraltro invano. E pazienza se in certi orari, in certi tragitti, quando comunicano la tariffa ci viene da specificare: «Chiedevo il prezzo della corsa, non della macchina».
Come spiega bene il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per l’Italia questo è un grande giorno. Escludere i tassisti dalle liberalizzazioni «va nella giusta direzione». Per chi non l’avesse compreso, in caso contrario ci saremmo ritrovati con «un grave danno non solo per le categorie e per gli utenti, ma anche per i Comuni: sarebbero aumentati i fenomeni di abusivismo e di concorrenza sleale».
Però. Questo è il Paese in cui tutti sognano la concorrenza, ma il solo rischio di averla davvero ci fa temere che sia sleale: non a caso, nei diversi settori toccati solitamente si fa un bel Cartello, così da evitare pericolose slealtà. I consumatori dovrebbero capire la situazione, vincendo le loro anacronistiche piccinerie corporative.

Ancora una volta, invece, le associazioni degli utenti si arroccano nel modo più miope: «La mancata liberalizzazione ha portato a una crescita esorbitante delle tariffe, le più elevate al mondo, mentre l’offerta resta inadeguata rispetto alle necessità dei cittadini...».
Vecchi retaggi egoistici, non vanno nemmeno tenuti in conto. L’Italia sta voltando pagina, prima o poi anche i consumatori dovranno farsene una ragione.

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