Una mappa di tutte le moschee per controllare gli integralisti

Daniela Santanchè e Ignazio La Russa: «Ci vuole anche un albo degli imam, dove potranno iscriversi solo i musulmani residenti in Italia

da Milano

Contro la diffusione dell’Islam fondamentalista in Italia non c’è che una soluzione: istituire un pubblico registro delle moschee e controllare la formazione degli imam. Ne è convinta Alleanza Nazionale, che ieri mattina, a margine della Festa Tricolore in corso a Milano, ha presentato una proposta di legge in nove punti. «Le moschee stanno nascendo come funghi - ha dichiarato Daniela Santanchè, prima firmataria - ma è chiaro che non siamo contro l’islam moderato e riformista. Anzi, sono proprio i musulmani non fanatici a chiederci leggi più rigorose per tutelarli». «Non vogliamo mettere in discussione la Costituzione - ha precisato Ignazio La Russa, capogruppo alla Camera di An - ma servono regole precise per permettere di vivere con serenità una realtà che è diventata molto difficile».
E allora ecco un progetto in nove punti destinato a far discutere. Innanzitutto stop all’anarchia delle moschee, che saranno obbligate ad iscriversi a un pubblico registro, previa approvazione delle prefetture. Tra i requisiti richiesti una «relazione sui riti, le attività didattiche e i principi religiosi all’interno delle moschea», nonché una dichiarazione patrimoniale e l’impegno a presentare un bilancio economico annuale. Lo scopo è evidente: contrastare l’afflusso di fondi neri da parte di organizzazioni estremiste; dunque ogni centro di culto dovrà certificare le proprie fonti di sostentamento.
Alleanza nazionale propone la creazione di un albo degli imam, al quale potranno iscriversi solo coloro che risiedono in Italia e che condividono i diritti e i doveri sanciti dalla «Carta dei valori della cittadinanza» elaborata dalla consulta islamica. Inoltre spetterebbe allo Stato occuparsi della formazione delle «guide religiose», sul modello di diversi Paesi arabi, ad esempio il Marocco. Come? Attraverso «appositi corsi presso le Facoltà italiane di Lettere e filosofia con specializzazione in Storia e Civiltà orientali». Solo chi li segue potrà ricevere l’attestato di idoneità che gli permetterà di predicare legalmente nelle moschee, ma che potrà essere revocato in qualunque momento da una commissione di controllo. Il tutto, ovviamente, in italiano. «I sermoni in lingua straniera saranno permessi, ma solo a condizione che ci sia un servizio di traduzione o intepretariato», ha precisato La Russa.
Al suo fianco, sotto il tendone di Piazza degli Affari, Alfredo Mantica, che intende portare il progetto in Senato, e Suad Sbai, presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia e membro della Consulta islamica, secondo cui il progetto rappresenta un passo nella buona direzione. «Ma in alcuni punti va migliorato» dichiara al Giornale. La Sbai non approva l’intenzione di «istituzionalizzare la figura dell’interlocutore islamico» e invoca misure drastiche «contro le moschee che sostengono il terrorismo e che andrebbero chiuse senza pietà». E questo per tutelare i musulmani moderati «che rappresentano il 95% degli immigrati presenti in Italia».
Da Salerno l’imam Rashid Amadia, anch’egli membro della Consulta, approva l’iniziativa della Santanchè, perché «incoraggia l’integrazione e il rispetto delle altre religioni», mentre critico è Khaled Fuad Allam, deputato dell’Ulivo.

«L’albo degli imam era già previsto in un’inizitiva bipartisan che ho presentato lo scorso luglio insieme all’ex presidente del Senato Marcello Pera e alla parlamentare Jole Santelli di Forza Italia - dichiara all’Adnkronos international -. Così si rischia di fare solo confusione».

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