"Martin Eden" diventa un bello e dannato che attraversa il '900 e perde la propria arte

Il regista: «È il romanzo degli autodidatti rimasti delusi dalla cultura»

"Martin Eden" diventa un bello e dannato che attraversa il '900 e perde la propria arte

Martin Eden, il grande romanzo di Jack London, è già stato frequentato dal cinema e dalla tv, nel 1942 con Glenn Ford protagonista diretto da Sidney Salkow e nel 1979 nella miniserie con Christopher Connelly e la regia di Giacomo Battiato, oltre a essere il libro che il personaggio di Noodles legge da ragazzino, sul water, in una famosa sequenza di C'era una volta in America di Sergio Leone. Ora ci prova Pietro Marcello, talentuoso regista campano di formazione documentaristica, insieme al cosceneggiatore Maurizio Braucci, a confrontarsi con la storia del ragazzo di umili origini che insegue il sogno di diventare scrittore, affidando il ruolo di Martin Eden a Luca Marinelli, intensi occhi azzurri e la voglia di riscatto sociale ben disegnata in volto.

Il regista, per l'occasione si prende delle libertà rispetto al romanzo, come rivela nelle note di regia e di sceneggiatura che accompagnano la presentazione del film in concorso domani alla 76ª Mostra del cinema di Venezia per poi uscire nei cinema mercoledì: «Abbiamo immaginato il nostro Martin attraversare il Novecento, o meglio una crasi, una trasposizione trasognata del Novecento, libera da coordinate temporali, ambientata non più nella California del romanzo, ma in una Napoli che potrebbe essere qualsiasi città, ovunque nel mondo». Nel ruolo fondamentale dell'anziano intellettuale Russ Brissenden troviamo Carlo Cecchi che fa avvicinare il marinaio Martin Eden ai circoli socialisti e di conseguenza lo allontana dal mondo borghese della famiglia dell'amata Elena Orsini che ha il volto dell'attrice francese (Paese con cui il film è coprodotto) Jessica Cressy: «Ispirandoci liberamente al romanzo, abbiamo letto Martin Eden come un affresco che anticipa le perversioni e i tormenti del Novecento, e i suoi temi cruciali: il rapporto fra individuo e società, il ruolo della cultura di massa, la lotta di classe». Temi universali che il regista e lo sceneggiatore hanno sentito propri perché, scrivono, «Martin Eden racconta la nostra storia, la storia di chi si è formato con la cultura incontrata non in famiglia, o a scuola, ma lungo la strada; è il romanzo degli autodidatti e di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione, restandone in parte deluso».

E infatti il film «non racconta solo la storia di un giovane proletario che, per amore di una ragazza altolocata, ambisce a diventare scrittore» ma, soprattutto, «è il ritratto di un artista di successo - un autoritratto a tinte fosche dello stesso Jack London - che smarrisce fatalmente il senso della propria arte».

Finendo per diventare, sono ancora parole del regista, «un eroe negativo» tanto che la parabola di Martin Eden «si apre con un filmato di repertorio dell'anarchico Errico Malatesta per poi trovare simmetrie nelle vite e nelle opere di alcuni scrittori dannati del XX secolo, da Vladímir Majakóvskij a Stig Dagerman a Nora May French». Dunque, verrebbe da dire, un Martin Eden «bello e dannato» parafrasando il titolo del precedente, straordinario, film di Pietro Marcello, Bella e perduta.

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