Il marxista che voleva il golpe anti Cav ora piange per la cacciata di Marino

Asor Rosa, barone universitario e guru della sinistra, fa il paladino della democrazia. Ma quante amnesie...

Il marxista che voleva il golpe anti Cav ora piange per la cacciata di Marino

L'età matura, l'alto grado di acculturazione, una lunga esperienza nelle cose della politica. Un po' di stanchezza. Sono tutti buoni motivi per i quali Alberto Asor Rosa - 82 anni, 40 di progressista carriera universitaria, una trentina di poderosi volumi di critica e storia della Letteratura alle spalle e davanti un futuro ancora inguaribilmente ottimista nelle «magnifiche sorti e progressive» dell'umanità - può cambiare idea, ma non l'ideologia. Che è, e rimane, operaista, marxista, radicale.

Pochi giorni fa ha firmato l'appello dei vip a sostegno di Ignazio Marino perché, sebbene sotto attacco, sebbene criticabile da molti punti di vista, sebbene in difficoltà nel gestire una realtà come la Capitale, il sindaco «ha vinto regolarmente primarie ed elezioni», quindi democraticamente non si può toccare. Applicando il medesimo principio, ma al contrario, Asor Rosa all'epoca (si era nella primavera del 2011), di fronte a un governo che aveva vinto regolarmente le elezioni ma aveva il vizio di essere presieduto dall'arcinemico Berlusconi, invocò sul Manifesto uno «stato di emergenza» che prevedesse la mobilitazione di carabinieri e polizia per «congelare la Camere, sospendere le immunità parlamentari, restituire alla magistratura le sue capacità di azione» e liquidare con la forza l'esecutivo in carica. Prove tecniche di colpo di Stato. In un momento di feroce guerra civile fra irriducibili berlusconiani e antiberlusconiani con la bava alla bocca, fu probabilmente il testo più letto e commentato dell'intera carriera del professore romano. Di certo il più divertente. Chi, ieri, in nome di più alti principi etici chiedeva una «prova di forza» contro il premier votato dal popolo, oggi, in costituzionale ossequio alle regole dello Stato repubblicano, mette la sua autorevolezza di scrittore a sostegno di quanti in piazza gridano «Marino resisti». È curioso.

In realtà, se Asor Rosa da scrittore è sempre stato fortemente critico sul filone populista nella letteratura italiana, da agitatore politico la piazza gli fa schifo. Antidemocratico travestito elegantemente da perbenista e comunista pervicace con terrazza sul capitalismo, quando pochi anni fa un'immobiliare toscana volle edificare un gruppo di villette non molto lontano dal casale dove è solito ritirarsi d'estate «per godere una serena vecchiaia al riparo della frenesia caotica della città» (come scrisse il suo avvocato), il professor Asor Rosa stroncò i costruttori chiedendo un risarcimento di 500 milioni di euro perché «costretto a vivere in una zona completamente stravolta, snaturata, a contatto con centinaia e centinaia di turisti domenicali che turberanno irrimediabilmente la pace e la serenità del luogo». Non c'è nessuno che disprezzi il popolo più di un marxista. Comunque, l'immobiliare lo querelò chiedendo un milione di danni. Poco male. Non c'è nessuno più ricco di un intellettuale di sinistra.

Peraltro, quando quest'estate, per rimediare all'immondizia accumulata dal sindaco Marino per le strade di Roma l'attore Alessandro Gassmann invitò i suoi concittadini a prendere la scopa e scendere in strada a pulire, l'insigne italianista rispose sprezzante: «Io non ci penso proprio! Pago regolarmente ingenti tasse per la nettezza urbana. E pretendo di vedere gli operatori ecologici lavorare». C'è di buono che non li chiamò volgarmente spazzini. Una lunga frequentazione estiva (solo a giugno però) dell' école capalbienne insegna come comportarsi con i «cari inferiori». L'ultima spiaggia del bon ton.

Strenuo difensore della letteratura alto-borghese più di quanto abbia sopportato i vizi delle masse (dal quinto piano della sua bella casa a ridosso del Vaticano mal sopporta i turisti vocianti che schiamazzano per Borgo Pio: «È sempre così, mi rassegno, che debbo fare?», si lamentò in un'intervista per i suoi 80 anni), Asor Rosa è sempre stato un sereno paladino dello squadrismo intellettuale - non si fa mai mancare nulla quando si tratta di attaccare l'avversario ideologico - e un fiero campione del narcisismo morale. Ancora recentemente intervistato da Repubblica ha spiegato che «la Sinistra deve recuperare il suo senso di superiorità». Un consiglio dato - si noti - alla classe politica e intellettuale più arrogante e culturalmente razzista dell'Occidente, che liscia il popolo quando la vota e gli dà del rimbecillito (di solito dalle televisioni private) quando le volta le spalle.

Una vita spesa tra politica e letteratura, per Asor Rosa la prima ha sempre avuto la meglio sulla seconda (la critica o è militante o non è) e la seconda è stata un utile corollario della prima. È stato direttore del settimanale del Pci Rinascita , ha planato da barone rosso su quasi mezzo secolo di università e - in anni di granitica egemonia culturale della sinistra in Italia - portò a casa la direzione della monumentale Letteratura italiana pubblicata dal marchio dello Struzzo. A proposito. Non staremo malignamente a ricordare di quando Giulio Einaudi, non si sa se per scherzo o per lapsus, lo chiamava Asor Rosé. Almeno, però, all'epoca era un'autorità della maison di via Biancamano. Oggi il professore è costretto a presentare un qualsiasi Nicola Lagioia al primo premio Strega che passa, e per di più in coppia con Concita De Gregorio. Non c'è Asor senza spine.

La grande storia è impietosa, quella piccola è nota. «Asor Rosa, sei un palindromo» scrissero un giorno sui muri della Sapienza gli indiani metropolitani, l'ala creativa del movimento del '77, alludendo al fatto che da sinistra Asor era un rivoluzionario, da destra si rifiutava di dare 30 a tutti. Indro Montanelli, che certo non simpatizzava con gli studenti che occupavano le facoltà, spiegò a modo suo sul Giornale il significato sia della parola sia della persona: «Lo si può leggere da sinistra o da destra, e vuol dire la stessa cosa, cioè niente».

Certo, Montanelli era perfido. Però non si possono non riscontrare fastidiose contraddizioni nell'uomo e nell'intellettuale. Contraddizioni nei confronti del Partito comunista (dal quale uscì nel 1956 per i fatti di Ungheria e poi ci rientrò nel 1972 per i fatti suoi), nei confronti dell'università italiana (dove ha insegnato per una vita e che nella lezione d'addio ha definito con elegante riconoscenza «la peggiore dell'emisfero occidentale»), nei confronti della sinistra stessa (prima è stato comunista non togliattiano, poi operaista con Toni Negri, quindi ideologo di Occhetto, dopo consigliere di D'Alema, infine consulente di Cofferati) e anche nei confronti della verità storica: per uno nato nel 1933 che ha conosciuto la dittatura, le leggi razziali, un conflitto devastante, un Paese diviso dalla guerra civile e l'eco della Shoah, dichiarare - come fece qualche anno fa - che «il governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d'Italia dall'Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo», è più che una randellata ideologica. È un'idiozia pericolosa.

Oggi, infatti, il professor Asor Rosa - come ha confessato recentissimamente - guarda con tenerezza al Cavaliere, «il quale non è stato capace di elaborare il progetto che Renzi invece sta mettendo vittoriosamente in campo, cioè avere sull'Italia un controllo totale». Tutto sommato, era meglio prima. È il destino, e la nemesi, dei progressisti. Rimpiangere sempre il passato.

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