Max Gallo: adesso l’Italia assomiglia un po’ alla Francia

Il celebre storico, figlio di due italiani e portavoce dell’ex presidente Mitterrand, esamina la nuova situazione politica dopo la nascita del Partito della libertà. "Se vuole vincere Berlusconi imiti Sarkozy"

Max Gallo: adesso l’Italia assomiglia un po’ alla Francia

Parigi è un osservatorio privilegiato della politica italiana, tanto più se a seguire le nostre vicende è una personalità del calibro di Max Gallo che, in quanto figlio di un piemontese e di una parmense, ha l’Italia nei cromosomi e parla correntemente la nostra lingua.
E oggi l’ex portavoce di Mitterrand, storico di valore e scrittore di successo, è uno degli intellettuali più influenti di Francia. Le sue analisi sul malessere della società, culminate nel saggio Fier d'être Français, hanno ispirato Nicolas Sarko-zy al momento di impostare il programma per le elezioni presidenziali. Da giugno Max Gallo è membro dell’Académie Francaise, ma questo prestigioso riconoscimento non ha distolto l’attenzione dalle vicende italiane, come dimostra in questa intervista concessa al Giornale.
Gli italiani invidiano ai francesi la stabilità e la possibilità di compiere scelte elettorali chiare. Lo strappo di Berlusconi peggiora o migliora le prospettive?
«Le migliora se, come pare, questo movimento favorirà la nascita del bipartitismo. Le grandi democrazie occidentali vanno tutte in questa direzione. In ognuno dei grandi Paesi prevalgono le logiche chiare del sistema bipolare».
Eppure molti sostengono che l’Italia si stia allontanando da questo modello...
«In realtà è dal 1994 che gli italiani dimostrano di prediligere la logica dell’alternanza: Berlusconi poi Prodi; poi di nuovo Berlusconi e infine di nuovo Prodi. La riottosità delle coalizioni ha impedito sia all’uno sia all’altro di governare. Il problema non era la formula ma il metodo».
E oggi che cosa può cambiare?
«Berlusconi ha preso atto che il sistema delle alleanze non funziona in Italia e che dunque il bipolarismo va trasformato in un bipartitismo. E Veltroni è della stessa opinione».
Sarkozy ha insegnato qualcosa alla classe politica italiana?
«Vedo analogie tra Parigi e Roma, sebbene i sistemi politici siano diversi. Prima, anche da noi le alleanze erano di intralcio; poi il centrodestra è confluito in un unico partito, l’Ump e Sarkozy si è presentato agli elettori come il leader di una formazione stabile, coerente, affidabile. Proprio quel che chiedevano gli elettori».
La gauche di Ségolène invece era divisa...
«E infatti ha perso. In Italia, invece, entrambi gli schieramenti sono avviati sullo stesso percorso; siete addirittura in vantaggio e questo è molto positivo, a condizione che il dibattito sulla legge elettorale si concluda nella direzione indicata dai referendum, ovvero con un premio di maggioranza al partito più forte».
E che ne sarà degli altri partiti?
«Quelli moderati dovranno decidere; possono correre da soli, ma solo se hanno serie chances di successo, altrimenti rischiano di perdere influenza».
Ma il Cavaliere non è più debole senza An e Udc?
«In teoria sì, ma se il suo partito continuerà ad essere in testa nel centrodestra, al momento di andare alle urne Berlusconi potrà invocare il cosiddetto “voto utile” e dire agli elettori: votate per me per non far vincere Veltroni».
E a sinistra?
«Si rafforzeranno i partiti estremi, in quanto la convergenza su posizioni moderate spingerà una parte dell’elettorato a privilegiare il voto ideologizzato e anticapitalista. Lo vediamo in Francia con l’ascesa di Olivier Besancenot della Lega comunista rivoluzionaria o in Germania con la sinistra di Lafontaine. Anche in Italia Veltroni dovrà prevedere un rafforzamento di Rifondazione comunista e del Partito dei comunisti italiani».
Per vincere le prossime elezioni conterà di più l’identità o il programma?
«Una delle chiavi del successo di Sarkozy è stata la capacità di dare una risposta al malessere dei francesi, che è molto simile a quello degli italiani, definendo l’identità in un’epoca di turbamento provocato dalla globalizzazione, dagli immigrati, dal bisogno di sicurezza. Se Berlusconi vuole vincere deve fare altrettanto; e questo vale anche per Veltroni, che infatti ha chiesto misure più severe per romeni e nomadi dopo l’omicidio di Roma».
E lei pensa che il Cavaliere si stia muovendo in questa direzione?
«Mi pare di sì. Già nel 1993 aveva chiamato Forza Italia il suo partito, a dimostrazione di una sensibilità per il discorso nazionale.

Ora la nuova formazione si chiama Popolo della libertà o forse Partito popolare della libertà con evidente riferimento alle tradizioni democristiane, forse addirittura al Partito popolare di Don Sturzo. L’Italia in questa fase di smarrimento riscopre le radici cattoliche. E Berlusconi asseconda il movimento abbinandolo al concetto di libertà economica e politica».
http://blog.ilgiornale.it/foa

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica